Continua, pur lontano dai media ( tutti puntati sul governo, dal caso Battisti al varo di Quota 100 e reddito di cittadinanza). Il congresso Pd sta per arrivare al primo giro di boa: i circoli stanno votando e i primi dati parziali elaborati da Youtrend sui primi 349 “seggi” hanno già fatto alzare la temperatura a via del Nazareno. Nulla di nuovo nello scontro tra i due big, Nicola Zingaretti e Maurizio Martina. Al 46% il primo, al 35% il secondo: si consolidano i dieci punti di distanza, anche se ai conti mancano ancora i risultati di alcune regioni del Sud. La vera sorpresa, invece, arriva dal terzo posto: il renziano anomalo Roberto Giachetti e il suo ticket con Anna Ascani si sono assestati a quota 13% ( anche questo dato parziale), prendendo quota in Piemonte e Toscana ( storica culla renziana). Un dato, questo, che ha lasciato spiazzati soprattutto i sostenitori del governatore del Lazio, ma che potrebbe impensierire anche la compagine che lavora per Martina.

Il primo grattacapo è per Zingaretti: il voto dei circoli è storicamente più spostato verso l’area sinistra del partito, dunque, se i risultati verranno sostanzialmente confermati, è possibile che il suo risultato alle primarie aperte del 3 marzo si fissi sotto la soglia psicologica del 50%. Il secondo, invece, tocca l’ex segretario: un’exploit di Giachetti non era stata prevista e proprio il “terzo incomodo” - che attinge al bacino di voti dell’anima renziana più oltranzista, che in lui ha visto un’alternativa all’accordo di ripiegare su Martina - potrebbe rosicchiargli i decimali necessari a superare in volata il candidato della sinistra dem. Non solo, se davvero Giachetti confermasse il trend registrato dai sondaggi di ieri, si materializzerebbe lo spettro dell’Assemblea: nel caso in cui il segretario votato ai gazebo non raggiunga il 50%, sarebbero i membri dell’assemblea a doverlo scegliere. Prima del via alla fase di consultazione nei circoli, i candidati avevano stretto un patto tra gentiluomini secondo il quale, a prescindere dalla percentuale, l’Assemblea avrebbe comunque votato come segretario il candidato indicato dagli elettori nelle primarie. Facile a dirsi in dicembre, forse meno scontato a farsi in marzo, quando i dati delle primarie potrebbero mostrare che le due anime renziane ( rappresentate una da Martina e l’altra da Giachetti) - se sommate - rappresentano ancora una netta maggioranza tra gli elettori dem. Insomma, nessuno dei candidati oggi sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco che, se mai Zingaretti venisse eletto con meno del 50%, i membri dell’Assemblea provenienti da area diversa sarebbero pronti a riconoscergli la guida del Nazareno. Indice proprio di questo è l’alzarsi del livello dello scontro, proprio da parte del solitamente mite Martina, il quale provoca Zingaretti su un nervo scoperto: «Chiarisca sul doppio incarico segretario- presidente di Regione». Parole che mandano su tutte le furie il candidato romano e i suoi sostenitori, che sbottano: «Preferiscono consegnare il Lazio a Salvini?». Non esattamente un clima da fair play, nonostante la Commissione elettorale del Pd si sia affrettata a ribadire come i dati di Youtrend siano «assolutamente parziali e poco indicativi del risultato finale, anche in considerazione del fatto che i 246 congressi sono distribuiti in sole 10 regioni, molte delle quali del Nord. Di conseguenza qualsiasi altro dato diffuso non è ufficiale». Intanto, al chiuso del Nazareno i candidati Zingaretti, Martina e Giachetti hanno incontrato i sindaci dem sottoscrittori del “Manifesto per un Pd unito e riformista”, guidati dal primo cittadino di Pesaro, Matteo Ricci. Incontri separati e diluiti nell’arco della giornata di ieri, che però restituiscono un dato significativo: i sindaci avevano sostenuto e sottoscritto la candidatura dell’ex ministro dell’Interno, Marco Minniti ( poi ritirata dal diretto interessato, mandando in crisi l’area renziana) e la scelta di un nuovo alfiere è ancora in corso. «Ci confronteremo sui temi del nostro Manifesto - ha sottolineato Ricci - in particolare sulla valorizzazione dei territori e sull’idea di un partito di amministratori locali e non di correnti.

Poi ciascuno di noi deciderà quale candidato sostenere». Parole che hanno fatto fischiare le orecchie a tutti i candidati, che ben sanno quanto conti la capacità di mobilitazione sui territori per il successo delle primarie aperte e quando l’endorsement di un sindaco possa pesare a livello locale, soprattutto in primarie incerte come quelle del prossimo marzo. In ogni caso, fanno sapere i primi cittadini, «tutti noi abbiamo preso due impegni ben precisi: tutti rimarremo nel Pd e nessuno aderirà a scissioni o alla nascita di nuovi partiti». Per ora, seppur lentamente, il Pd ha registrato una lieve flessione positiva nei sondaggi: tutti gli istituti hanno registrato una crescita di quasi un punto percentuale, attestandosi tra il 17,5% e il 18%. Ancora poco, forse, ma ogni passo conta per risalire la china.