Mentre a Strasburgo lunedì scorso si celebrava la Babele europea, il Movimento 5 Stelle ha scelto ancora una volta la linea della disinvoltura, annunciando il proprio voto favorevole alla mozione di sfiducia (al voto domani) contro la presidente della Commissione, insieme a Lega, Rassemblement National, Fidesz e addirittura i tedeschi di AfD. Un atto che non sembra del tutto compatibile con la narrazione che Giuseppe Conte continua a cucirsi, quella di ex- premier responsabile, uno statista pronto a contendere a Elly Schlein la leadership dell’opposizione e – in caso di caduta del governo Meloni – un posto in pole position per il ritorno a Palazzo Chigi.

La mozione, formalmente presentata da un deputato romeno del gruppo Ecr, Gheorghe Piperea (da cui hanno subito preso le distanze i meloniani per una serie di motivazioni che non sarebbe stato bizzarro ascoltare dai pentastellati), prendeva le mosse dal cosiddetto Pfizergate, ovvero dalle accuse di scarsa trasparenza nella gestione dei contratti sui vaccini anti- Covid. Una linea di attacco che ha saldato il fronte della destra sovranista con le frange no-vax, i complottisti e gli apologeti di Putin, come li ha definiti senza mezzi termini la stessa von der Leyen.

Eppure il M5S non ha fatto una piega. Ha ignorato la compagnia, ha chiuso un occhio ( forse due) sulla natura ideologica del testo e ha deciso che votare con l’estrema destra contro la presidente della Commissione europea – la stessa che ha sostenuto l’Ucraina e promosso il Green Deal – fosse una mossa utile alla causa. Il paradosso è evidente: Conte, che da premier ha gestito la pandemia e avallato una delle campagne vaccinali più aggressive d’Europa, si ritrova oggi alla guida di un partito che si accoda a chi, proprio sui vaccini, costruisce narrative tossiche e destabilizzanti.

Votare quella mozione, nel merito e nel metodo, è sembrato a molti un esercizio di opportunismo, non dissimile da certi scatti da passerella: un giorno alla masseria di Bruno Vespa a colloquio con l’élite, un altro al buffet di Villa Taverna per passare una serata da atlantista celebrando il 4 luglio a casa dell'ambasciatore americano. E poi, a Strasburgo, i deputati fedeli a Conte che alzano la mano assieme alla destra xenofoba anti- sistema, cara allo Zar di Mosca. Che il testo della mozione non abbia possibilità di passare – perché per approvarlo servirebbero i due terzi dei voti espressi e la maggioranza assoluta dei componenti – è quasi secondario. Più rilevante è il significato politico del voto. Il M5S, a differenza degli altri gruppi della sinistra europea (The Left, ad esempio, dovrebbe astenersi proprio per non essere conteggiata insieme all’ultradestra), ha scelto di marcare un’identità che diventa sempre più difficile da decifrare, soprattutto per un elettorato che – almeno sulla carta – non ha nulla a che vedere con i nostalgici dell’Europa delle nazioni o con i sospetti anti- vax (che hanno rinnegato il M5s proprio a causa della linea pro- vax di Conte).

Certo, non è la prima volta che Conte gioca su due tavoli. In Italia si presenta come argine alla destra, paladino dei diritti, campione della Costituzione, leader progressista e garante delle istituzioni ma poi spesso si ritrova su posizioni simili al suo ex- ministro dell’Interno Salvini. In Europa oggi vota con Le Pen, ieri si asteneva sulle risoluzioni pro- Ucraina, domani chissà. La tentazione di erodere consenso sulle contraddizioni dell’Unione senza costruire un’alternativa credibile, appare più forte di qualunque coerenza ideologica. Nel frattempo, attorno a von der Leyen si sfarina la cosiddetta «maggioranza Ursula», con popolari, socialisti e liberali ( più i verdi) pronti a respingere la sfiducia ma da separati in casa.

Il Ppe, con Manfred Weber, continua a flirtare con i Patrioti dell’Ecr e a usare i voti della destra estrema per imporre la propria linea. I socialisti, da parte loro, sono divisi e irritati. Alcuni chiedono posizioni più dure, altri meditano l’astensione. I Liberali minacciano la fine del patto, mentre i numeri parlano chiaro: il vero ago della bilancia è sempre più a destra. In questo scenario frammentato, il M5S si ritaglia il solito ruolo da battitore libero. Solo che stavolta il prezzo è alto. Sostenere una mozione dai tratti marcatamente illiberali, ispirata da ambienti politici dichiaratamente anti- europei e firmata da forze nostalgiche dell’autoritarismo, significa esporsi a critiche pesanti. Soprattutto per un partito che rivendica la propria natura democratica e che dovrebbe, almeno sulla carta, appartenere alla famiglia della sinistra. Chissà se, quando tornerà a parlare al suo elettorato di giustizia sociale, di ambiente, di diritti e Costituzione, qualcuno gli chiederà conto di quel voto a Strasburgo. Perché tra un bicchiere di Negroamaro nella tenuta di Vespa e un brindisi all’ambasciata americana, c’è un Movimento 5 Stelle che sta per votare con i nemici giurati dell’Europa e – in più di un caso – della democrazia.