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European Commission president Ursula von der Leyen delivers her speech during a statement on the preparation for the EU–China Summit, Tuesday, July 8, 2025 at the European Parliament in Strasbourg, eastern France. (AP Photo/Pascal Bastien) Associated Press/LaPresse
A Bruxelles circola un certo ottimismo sull'esito della trattativa sui dazi con Trump, e rimbalza anche a Roma. Impossibile però dire se quelle aspettative abbiano un fondamento oppure siano solo un auspicio. Difficile anche chiarire se l'ottimismo in questione sia reale o di facciata. Di certo quando lunedì sera al posto della paventata lettera del presidente americano è arrivato il rinvio al primo agosto tutti hanno tirato un sospiro di sollievo.
Più tempo per trattare significa avere maggiori chances di evitare non solo la disastrosa guerra commerciale tra Usa e Ue ma anche evitare il rischio di uno scontro altrettanto devastante all'interno della Ue. Alla faccia delle dichiarazioni rosee dopo la telefonata Trump-von der Leyen, l'accordo, lunedì pomeriggio, non sembrava affatto a portata di mano. Anche se tutti assicurano che l'intesa deve e può essere trovata in questo mese, tutti sono felicissimi di avere di fronte ancora tre settimane. Sempre che l'imprevedibile tycoon non se ne esca con qualche mossa a sorpresa e dato il carattere dell'uomo neppure di questo si può essere certi.
Come andrà il negoziato sui dazi è materia per veggenti e chiromanti. Quel che in compenso si può dire con certezza è che l'Unione europea arriva al momento della verità in ginocchio e non per colpa di Donald Trump. L'offensiva del Mercante ha solo esposto alla luce di un impietoso faro una realtà che l'Unione ha costruito tutta da sola: quella della massima lacerazione.
Domani, ad esempio, si voterà la mozione di sfiducia contro la presidente von der Leyen. La ha presentata un europarlamentare dell'estrema destra romena che aderisce al gruppo dei Conservatori, l'Ecr, quello di Giorgia Meloni. La mozione, che precipiterebbe le istituzioni europee nel caos proprio quando dovrebbero poter vantare il massimo di compattezza e autorevolezza sarà votata dalla destra radicale di Orbàn e Salvini e dal M5S. La maggioranza di quel gruppo, inclusa la delegazione più forte che è quella della italiana FdI, invece appoggerà la presidente, pur essendo formalmente esterna alla cosiddetta "maggioranza Ursula".
I Popolari confermeranno l'appoggio alla presidente e così, sia pure senza risparmiarle critiche, i liberali. I socialisti, invece no. Il gruppo parlamentare del Pse Socialisti e Democratici, il secondo per importanza nella sedicente maggioranza europea, salvo ripensamenti in extremis si asterrà. Sarebbe, e probabilmente sarà, una scelta allo stesso tempo deflagrante e rivelatrice però dell'impotenza in cui si trovano i socialisti d'Europa.
Il Pse si sente tradito da un Ppe che non esita a fare sponda con la destra, è sempre più furioso e scontento di una maggioranza mai nata davvero. Ma esita di fronte a un passo risoluto che implicherebbe il salto nel buio e potrebbe spalancare le porte all'alleanza tra il Ppe, i liberali e una parte della destra. Dunque si rassegna a un'astensione che priva di fatto von der Leyen di una vera maggioranza ma la lascia imperterrita al suo posto.
Ma d'altro lato i socialisti sono troppo divisi al loro interno anche solo per tentare di impostare una strategia politica. Sull'immigrazione i partiti socialisti del Nord stanno con la linea dura di Meloni e dei Popolari. Sul riarmo solo la delegazione italiana, peraltro la più numerosa, ha negato il consenso anche in questo caso però con la formula ambigua dell'astensione.
Il tentativo di sostituire il poco apprezzato irlandese Donohoe alla guida dell'eurogruppo è stato fatto fallire proprio dalle divisioni interne al Pse che hanno portato esattamente dove nessuno voleva andare: a un terzo mandato Donohoe. Alle divisioni politiche si accompagnano, come sempre, quelle tra diversi interessi nazionali. L'Italia e la Germania hanno dato vita a un inedito asse in nome sia della vicinanza politica tra il popolare aperto a destra Merz e la conservatrice aperta al centro Meloni sia dell'interesse economico comune che spinge sia Roma che Berlino a contrastare le spinte verso un confronto molto muscolare con Trump.
In queste condizioni se l'intesa miracolosa sui dazi non sarà trovata e se il presidente americano giocherà a spaccare l'Europa tentando trattative separate con i vari Paesi, la resistenza dell'Unione non è affatto garantita. Però una lacerazione sarebbe più o meno la fine della Ue.