Ursula von der Leyen può dormire sonni tranquilli: la mozione di censura che giovedì il Parlamento europeo sarà chiamato a votare contro la sua Commissione non passerà. Servirebbe una maggioranza dei due terzi degli aventi diritto, un traguardo che nessuno, neppure tra i promotori, considera realisticamente raggiungibile. Ma il vero match, a livello politico, si è giocato ieri nel tardo pomeriggio, nel dibattito in plenaria a Strasburgo. E ha consegnato diversi segnali politici da annotare con attenzione, in vista dei prossimi mesi di trattative sui temi più disparati, a partire dai dazi minacciati dagli Usa. Il primo riguarda Fratelli d’Italia, che milita nello stesso gruppo del primo firmatario della mozione, il rumeno Gheorghe Piperea (Ecr). Il partito di Giorgia Meloni ha scelto non solo di non sostenere l’iniziativa, ma di prenderne le distanze in modo esplicito. «È un errore, un regalo ai nostri avversari politici – ha detto il meloniano Nicola Procaccini – io voterò contro, anche per difendere il lavoro di Raffaele Fitto», ex copresidente del gruppo Ecr e oggi vicepresidente della Commissione. Una dichiarazione che suona come una carezza diplomatica rivolta alla stessa von der Leyen, in una fase in cui i rapporti tra l’Italia e Bruxelles, come detto, sono sotto stress per la partita sui dazi minacciati dagli Usa. Non a caso la presidente ha rilanciato proprio in Aula un messaggio all’alleata Meloni: «Quando tratteremo con gli Stati Uniti, l’Europa dovrà dare prova di forza. Lavoreremo per l’unità». Il secondo segnale, che dalle parti di Montecitorio e Palazzo Madama non è una novità, arriva dal Movimento 5 Stelle (parte del gruppo The Left), che ha annunciato di votare a favore della mozione. I pentastellati si troveranno ancora nella stessa area di voto della destra sovranista, quella che von der Leyen ha indicato come «burattinata da Putin». A Strasburgo i 5 Stelle si sono difesi parlando di coerenza e ribadendo il giudizio negativo sulla presidente: «Un disastro su riarmo, migranti, ambiente, fondi di coesione. E il silenzio assordante sul genocidio a Gaza. Per questo la sfiduciammo un anno fa e continueremo a farlo, anche se la mozione è promossa dall’estrema destra». Ma l’effetto finale è quello di un asse tattico – se non politico – tra i grillini e i Patrioti di Orban, Le Pen e AfD. Esattamente ciò che l’ex ministra spagnola Iratxe Garcia (S&D) ha bollato come «suicidio politico per chi si dice progressista». Von der Leyen, dal canto suo, ha risposto col piglio da candidata in campagna elettorale. L'ha subito “toccata piano”, come si dice in gergo, accusando i promotori della mozione di essere “amici di Putin”, manovrati come marionette dall'uomo forte di Mosca e che pertanto la posta in gioco è stare con la democrazia o con l'autocrazia. Inoltre la presidente ha negato ogni opacità nei rapporti con Pfizer – «le trattative sui vaccini sono state condotte congiuntamente dalla Commissione e dai 27 Stati membri, ogni contratto è stato vagliato dalle capitali» – e ha attaccato duramente chi ha promosso la mozione, bollando il testo come «un manuale dell’estremismo antieuropeo», pieno di «teorie del complotto» e pensato per “creare una spaccatura tra istituzioni e cittadini, polarizzare la società, minare la fiducia nella democrazia”. Un attacco diretto a Piperea, accusato di voler «riscrivere la storia della pandemia». E per marcare la distanza, ha evocato le immagini delle bare di Bergamo, «che nessuno può dimenticare», contrapposte all’«Europa della solidarietà» che ha garantito accesso equo ai vaccini. A difendere la presidente si sono schierati senza tentennamenti i Popolari europei, per bocca del capogruppo Manfred Weber. «Questa mozione è una perdita di tempo – ha detto – e fa solo il gioco degli amici di Putin. AfD, AUR e gli altri burattini del Cremlino non hanno mai voluto un’Europa forte. La Commissione sta difendendo l’Ue da chi la vuole smontare pezzo per pezzo». Non solo: Weber ha voluto anche sottolineare il peso politico di von der Leyen nei dossier commerciali con Washington, alludendo alla battaglia imminente sui dazi. «Mentre gli amici del Maga si girano dall’altra parte, è la Commissione a proteggere i nostri posti di lavoro».Toni simili anche dai socialisti, che pur criticando da mesi alcune scelte dell’esecutivo Ue, si sono rifiutati di offrire qualsiasi sponda alle destre. «Non diamo neanche un voto a chi vuole distruggere l’Europa – ha detto Garcia –. Se il Ppe vuole governare con Orban e Le Pen, lo dica chiaramente. Noi non ci stiamo». La mozione, dunque, è destinata al fallimento. Ma il dibattito ha offerto una fotografia nitida degli equilibri e delle contraddizioni che attraversano l’Europarlamento. Fratelli d’Italia si smarca con abilità per non incrinare il dialogo con la presidente uscente e blindare la posizione di Fitto. I 5 Stelle si intestano un voto di opposizione, ma si ritrovano in compagnia scomoda. Il Ppe tiene il punto e si accredita come unica diga al populismo, mentre tra socialisti e liberali cresce il fastidio per le convergenze sospette tra i Popolari e la destra radicale. In un’Aula che si appresta a votare una mozione già sconfitta, è la politica – come sempre – a cercare un’altra via.