«Forza Italia è assolutamente favorevole ad una revisione radicale della legge Severino», afferma il senatore Pierantonio Zanettin, capogruppo azzurro in Commissione giustizia al Senato. Questa settimana, nell'ultimo Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, il governo ha dato il via libera alla riforma del Testo unico degli enti locali. Il disegno di legge delega, all'articolo 2, prevede una «revisione organica delle disposizioni in materia di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità» degli amministrati locali.

Attualmente la legge impedisce di ricoprire cariche elettive a coloro che siano stati già condannati per delitti non colposi, prevedendo poi un sistema di sospensione temporanea nei confronti di quegli amministratori la cui condanna non sia ancora definitiva. La norma, approvata nel 2012 all'indomani delle indagini che travolsero quasi tutti i Consigli regionali riguardo la gestione dei fondi ai partiti, volle dare una “sterzata” a tali condotte in un momento in cui l’antipolitica imperversava.

La prima vittima illustre fu Silvio Berlusconi che l'anno dopo fu costretto a lasciare il Senato a causa della condanna nel processo sui diritti tv. La parte più contestata della legge Severino attiene agli amministratori che sono stati condannati ma non in maniera definitiva, di fatto in contrasto con il disposto dell’articolo 27 della Costituzione quando afferma che «l’imputato non può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva». La Corte costituzionale si è però già espressa in merito ritenendo infondate le questioni di legittimità, ribadendo in particolare la natura cautelare della sospensione e la sua aderenza al principio del venir meno dei requisiti soggettivi per l’accesso alle cariche pubbliche. Il tema, comunque, è se un amministratore condannato in qualsiasi modo e tempo non abbia più i requisiti di onorabilità che si richiedono a chi sia chiamato a gestire la cosa pubblica. Per la maggioranza di governo si dovrebbe in ogni caso attendere l’esito finale del processo, ben sapendo che data la lentezza della giustizia una eventuale sentenza di assoluzione, come capita spesso in secondo grado, arriverebbe dopo la conclusione dell’incarico politico.

L'abrogazione totale della legge Severino non lascerebbe vuoti legislativi perché il giudice può già disporre delle sanzioni di interdizione dai pubblici uffici temporanee o perpetue che hanno però effetto con la sentenza definitiva. In passato, nella legislatura 2013- 2018, si era pensato invece ad un inasprimento della legge Severino, prevedendo «la pubblicità dell'autocertificazione del candidato, con tutte le condanne e i processi in corso». Una pubblicità che riguardava non solo i procedimenti previsti attualmente dalla legge ma qualunque altro processo che riguardava il profilo morale del candidato. Attualmente una condanna in primo grado per violenza sessuale, bancarotta o falso in bilancio, ma con meno di due anni di pena, non determina alcuna incandidabilità. Togliendo la soglia dei due anni di pena ed includendo non solo i reati contro la pubblica amministrazione ma anche quelli riguardanti l’aspetto “morale”, la platea dei soggetti incandidabili si sarebbe però allargata dismisura. È sufficiente pensare al reato di diffamazione che, usato spesso a scopo intimidatorio, poteva essere utilizzato per estromettere dalla competizione elettorale avversari scomodi. Sul fronte della modifica delle intercettazioni telefoniche, invece, il decreto legge approvato sempre dal Consiglio dei ministri questa settimana va ad incidere sui procedimenti in corso riguardo i delitti consumati o tentati previsti dagli articolo 452 quaterdecies ( attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 630 ( sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale. Altro ambito di applicazione riguarda i reati commessi con finalità di terrorismo ma avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis. Lo scopo è rendere possibile un utilizzo più ampio della disciplina sulle intercettazioni oggi prevista per i reati associativi.

Sul punto si segnala una polemica a distanza fra le Camere penali e il vice ministero della Giustizia Francesco Paolo Sisto. «Il decreto sulle intercettazioni è in piena “assonometria” con la linea dura verso le mafie. Nella lotta alle cosche questo governo non fa sconti: è vero, si è fatto ricorso ad uno strumento eccezionale, ovvero un decreto legge per evitare le incertezze applicative derivanti da orientamenti giurisprudenziali. Ma era indispensabile e soprattutto urgente stabilire che le intercettazioni “speciali” per i reati di mafia vanno estese anche ai reati aggravati dalla finalità di aiutare le associazioni mafiose», ha dichiarato Sisto. «Il Parlamento fermi la nuova legislazione emergenziale», è stata invece la risposta dell’Ucpi.