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La premier Giorgia Meloni e il vicepremier Antonio Tajani
La guerriglia nella maggioranza è cominciata e, complici le incombenti Europee, proseguirà a lungo. Ma la sfida nelle urne europee è in realtà lontana, tanto da autorizzare manovre di lungo corso come quella che mira a staccare l'AfD, sulla quale pesano veti invalicabili, dal Rassemblement National francese che invece, con qualche correzione già indicata con precisione da Tajani, potrebbe diventare potabile. Con l'AfD non ci sono margini ma se invece Marine Le Pen rinunciasse all'antieuropeismo le porte sarebbero almeno socchiuse.
Dunque la sfida a breve si combatterà su altri campi di battaglia e soprattutto su tre questioni che terranno banco in autunno: la tassa sugli extraprofitti delle banche, la legge di bilancio e il solito eterno Mes. Sulla tassa Tajani, tagliato fuori senza alcun garbo dalla decisione iniziale, ha le idee chiare: deve ottenere un ulteriore e drastico ridimensionamento della tassa, dopo quello con cui Giorgetti la ha già dimezzata. Salvini e forse anche la premier si metteranno di mezzo ma per il leader azzurro la questione è essenziale: la famiglia Berlusconi non perdonerebbe il fallimento nella difesa di Mediolanum e il neo leader azzurro non può partire col piede sbagliato, accettando il ruolo di socio di serie b nella coalizione, quello che Meloni e Salvini gli hanno di fatto già cucito addosso tenendolo all'oscuro del blitz sulla tassa per le banche. Tra le richieste che il leader di Fi si prepara a mettere sul tavolo a settembre, non ancora completamente definite, la più importante è l'esclusione dal prelievo degli istituti più piccoli, oltre alla deducibilità del prelievo stesso.
La legge di bilancio sarà il fronte principale. La coperta è già corta, il calo del Pil nell'ultimo trimestre l’ha ridotta ulteriormente, se prenderà corpo la legge contro il lavoro povero promessa dalla premier diventerà cortissima e, a differenza dell'anno scorso, l'allarme ormai diffuso per l'aumento dei prezzi rende molto difficile cavarsela con una manovra all'insegna dell'austerità. Pochi soldi a disposizione, molte e imperiose richieste, necessità conseguente di tagliare da qualche parte: in questi casi anche se non ci fossero elezioni all'orizzonte i partiti affilerebbero le armi, ciascuno deciso a reclamare sostegni per la propria base elettorale.
La stessa polemica sullo storno di fondi del Pnrr dai progetti per Roma e per il Sud da destinarsi invece a quelli per il Nord rientra in questa cornice, con la Lega tornata a essere essenzialmente partito del Nord e una Fi attestata invece soprattutto al Sud. La rappresentanza sociale è altrettanto divaricata: gli azzurri mirano infatti a proporsi non solo come l'area moderata e liberale ma anche come la sola compiutamente liberista della coalizione. Salvini invece, almeno nella propaganda, non ha rinunciato alla parte del difensore delle fasce popolari e la stessa premier qualcosa all'area sociale della sua destra, della quale in realtà non ha mai fatto davvero parte, dovrà concedere.
Se l'anno scorso la legge di bilancio è stata varata in modo quasi indolore, essendosi del resto il governo appena insediato, quest'anno tutto lascia presagire che le cose andranno all'esatto opposto e che i partiti si contenderanno ogni briciolo della esigua torta. A mediare tra i diversi appetiti dovrà per forza essere la premier, già tirata per la giacchetta in questo senso dai duellanti, ma una trattativa certamente nascosta ma altrettanto tesa sarà necessaria anche con Giorgetti che, pur essendo il numero due della Lega, dovrà per ruolo e per vocazione rivestire la parte poco grata del guardiano severo dei conti pubblici.
La partita del Mes minaccia di rivelarsi la più pericolosa, soprattutto per il messaggio identitario che da tempo ha finito per incarnare. La Lega non mancherà di cogliere l'occasione per profilarsi come il partito più disposto ad alzare la voce e puntare i piedi anche di fronte alle insistenze di Bruxelles, che in autunno diventeranno imperiose nella sostanza se non nella forma. Fi, probabilmente, farà lo stesso ma con l'obiettivo opposto, quello di identificarsi come la sola forza compiutamente europeista della destra italiana.
L'opposizione cercherà in tutti i modi di sfruttare la situazione per far esplodere tensioni e rivalità all'interno della maggioranza. Ma qui la posizione più difficile sarà quella della premier. L'intera politica che ha impostato nei confronti della Ue la dovrebbe spingere verso la resa ma senza ottenere nulla in cambio sul fronte dell'integrazione bancaria per piegarsi dovrebbe rimangiarsi dichiarazioni rilasciate per anni e ancora poche settimane fa. Tirarsi fuori dai guai, con alleati che la tireranno in direzioni opposte, non sarà affatto facile e per quanto tutti lo considerino oggi improbabilissimo non è escluso che alla fine decida di essere proprio lei ad assumersi la responsabilità di negare la firma in calce alla ratifica della riforma del fondo salva Stati.