Due giorni fa sembrava fatta: la maggioranza pareva unita sull'ipotesi di abbassare la soglia per le elezioni europee dal 4 al 3 per cento e di scorporare il collegio delle isole in due diversi collegi, Sicilia e Sardegna. Nel giro di una notte è cambiato tutto, la riforma è finita in altissimo mare, probabilmente non se ne farà niente anche se la premier e il suo partito ancora ci sperano e probabilmente ci riproveranno. Ma cosa è cambiato in una sola notte? Come si spiega il sonoro no della Lega, quella nota in cui afferma forte e chiaro che «la riforma della legge elettorale non è una priorità» e comunque, a ogni buon conto «in teoria sarebbe più ragionevole alzare la soglia» ? O quello espresso, presumibilmente a nome dell'intera Fi da Maurizio Gasparri: «La soglia d'accesso non sarà rivista. Casomai bisognerebbe portarla al 5 per cento» ?

La ragioneria politica, in questi casi spiega sempre molto anche se non tutto. I partiti minori hanno bisogno come il pane dell'abbassamento: Iv, che per l'occasione si chiamerà “Il Centro”, l'Azione di Calenda, Lupi con i suoi Noi moderati, ci farebbe un pensierino persino Paragone con Italexit più varie ed eventuali. Avs, il cartello formato da Sinistra italiana e dai Verdi, ha interessi anche maggiori: superare il 4 per cento è possibile ma non facile, con l'asticella al 3 passerebbe subito la paura. Iv, per la verità, ha preso una posizione molto ferma contro l'abbassamento della soglia, ma sembra uno di quei casi in cui l'obiettivo è soprattutto fare bella figura senza pagare alcun dazio. In sé il no dei renziani non basterebbe certo a fermare una riforma approvata della maggioranza e con il suo gran rifiuto Iv figurerebbe come partito che rifiuta aiutini, però avvalendosene.

I due partiti maggiori, FdI e il Pd, hanno interessi diametralmente opposti ma per le medesime ragioni. Con la soglia al 4 per cento molti elettori soprattutto di Avs potrebbero optare per il “voto utile” e scegliere il Pd: questione di un paio di punti percentuali ma per Schlein la partita potrebbe dipendere proprio da quel paio di punti percentuali. Dunque il Pd non ha alcuna intenzione di dare una mano agli alleati rossoverdi col rischio di farne le spese mentre la premier è più che pronta ad aiutare l'ala estrema del campo avverso pur di sgambettare il principale partito rivale. La stessa logica potrebbe ispirare il M5S, che dovrebbe essere contrarissimo ad abbassare la soglia perché in questo caso, senza il richiamo del solito “voto utile” diventerebbe meno appetibile per una parte dell'elettorato di sinistra o ecologista. Ma la tentazione di rendere la prova più difficile per il Pd addolcirebbe la pillola.

Per Lega e Fi il discorso è diverso. Il partito di Salvini non rischia l'esclusione, quello di Tajani forse sì ma appena appena. Il solo motivo per cui Fi potrebbe accettare la soglia più bassa è proprio il timore dell'eventualità, molto remota ma non inesistente, di non superare il 4 il prossimo 9 giugno. Non sarebbe una sconfitta ma il tracollo. La leadership di Tajani non sopravvivrebbe al colpo ma probabilmente neppure Forza Italia. Del resto, nei mesi scorsi, era stata proprio Fi nella maggioranza a spendersi per prima a favore dell'abbassamento della soglia che ora Gasparri mitraglia. Ora però né la Lega, né presumibilmente Fi, ritengono conveniente che ci siano in campo formazioni che minaccino anche loro di dispersione di voto. In fondo il partito che rischia di meno è proprio FdI. Gli eventuali elettori delusi che dovessero scegliere di non votare il primo partito della destra slitterebbero verso gli altri partiti della coalizione, non verso formazioni più piccole.

Per la Lega e soprattutto per Fi il discorso è opposto. Il partito che mira a mettere in campo l'ex ministro Alemanno nasce con l'intento di pescare voti nell'elettorato tricolore, ma la sua presenza disturba soprattutto la Lega, sia perché gli elettori più duri del Carroccio potrebbero slittare verso le posizioni radicali di Alemanno sia perché con quella forza in campo verrebbe meno l'intera strategia di Salvini, che mira a proporsi proprio come alternativa per l'elettorato deluso ( sempre che esista) di FdI.

Per Fi il problema si chiama Renzi. È possibile che proprio la nascita della formazione dell'ex premier, Il Centro, abbia spinto gli azzurri a cambiare idea. Il calcolo è presto fatto: più possibilità ha Renzi di superare il quorum, più aumentano le possibilità che una parte dell'elettorato azzurro passi sotto le sue bandiere. Al contrario, più quelle possibilità scendono, più è facile che siano i potenziali di Iv a scegliere invece Fi per non sprecare il loro voto. In questa situazione, è difficile che Meloni e FdI riescano a raggiungere un traguardo che due giorni fa sembrava vicinissimo.