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Salvini Ponte sullo Stretto
Il giorno dopo il tonfo della Lega sotto il 9% alle Politiche, Matteo Salvini non sembra in alcun modo intenzionato a lasciare la guida del partito. «Dimettermi? Mai avuta così tanta voglia di lavorare», risponde ai cronisti che incontra in via Bellerio dopo il silenzio della notte elettorale. Ma c’è tensione con i governatori e i ministri, contro cui - fuori dai microfoni - puntano il dito alcuni salviniani, accusandoli di aver lasciato solo il segretario in campagna elettorale e di non essersi spesi abbastanza per il successo del partito. In conferenza stampa, per la verità, il capo della Lega attribuisce la responsabilità del crollo elettorale alla decisione di sostenere il governo di Mario Draghi. «La lega ha pagato. Ma lo rifarei», precisa. Per la prima volta poi parte, in Lombardia e Veneto, una raccolta firme - impossibile verificare allo stato il seguito che avrà sul territorio - per la convocazione dei congressi regionali e procedere alla sostituzione dei due commissari indicati da Salvini, il lombardo Fabrizio Cecchetti e il veneto Alberto Stefani. L’iniziativa, promossa da alcuni parlamentari uscenti che non sono stati rieletti, è respinta con fermezza da Salvini: «Chi danneggia il lavoro della militanza parlerà con me». Le voci dissonanti, in Lombardia, sono quelle dell’ex coordinatore lombardo Paolo Grimoldi e dell’ex candidato a sindaco di Varese Matteo Bianchi, entrambi penalizzati nella composizione delle liste e quindi non rieletti a Montecitorio. Mentre in veneto protestano l’ex segretario della Lega, Toni Da Re, e l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Roberto Marcato. «Preso atto della situazione politico-elettorale, con la presente, siamo a chiedere l’immediata convocazione del congresso della Lega lombarda/Liga veneta», si legge nel documento per cui si raccolgono - via sms e via whatsapp - le firme dei militanti. Intanto, ieri sera, raccontano alcuni presenti alla riunione tra Salvini e i fedelissimi per analizzare il risultato elettorale in via Bellerio, i presidenti di Regione e i ministri della Lega non si sono fatti vedere, non hanno fatto neanche sentire la propria voce. Il segretario del partito di via Bellerio oggi li ha difesi pubblicamente, «sono dei militanti anche loro», ha detto, ma il convincimento - confidato a caldo - è che non si siano spesi sul territorio, che non si siano fatti vedere abbastanza in campagna elettorale. E il sospetto che non abbiano fatto votare Lega. «Non si sono visti consiglieri regionali in giro», il ’refrain’. La tensione all’interno del partito è stata sopita dallo stesso leader che non ha messo alcuno nel mirino: «Ognuno ha dato il suo contributo» ha spiegato in conferenza stampa Salvini, che poi nel pomeriggio ha avuto una riunione proprio con i presidenti di Regione, in vista del Consiglio federale di domani. Un chiarimento durato due ore. «È emersa - hanno fatto sapere dalla Lega - unità di intenti su come coinvolgere tutti i territori, a partire da una assemblea programmatica nazionale per accompagnare la nascita del nuovo governo e mettere al centro proposte e priorità. C’è grande volontà di riavvicinare al voto ed alla Lega gli elettori astenuti e l’impegno a valorizzare e coinvolgere governatori, sindaci e militanti in una nuova stagione di centrodestra». Ma, durante la riunione, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia - viene riferito - avrebbe consigliato al segretario di «non sottovalutare il clima». Il risultato del 9% non soddisfa nessuno nel partito. Tra i salviniani il convincimento è che con un maggiore impegno, anche da parte dei membri dell’esecutivo Draghi, si sarebbe potuta raggiungere la doppia cifra. Il tema della leadership è sul tavolo, in pochi sottotraccia lo nascondono, ma al momento in primis c’è il confronto con Fratelli d’Italia. «Se Meloni non ci ascolta ci sarà un problema», mette a verbale un ’ex lumbard’. «Era difficile fermare l’onda»: Salvini non nasconde di essere "incazzato" per il risultato della Lega. Deludente da sud a nord, soprattutto nelle roccaforti di un tempo, da Lombardia a Veneto e Friuli Venezia Giulia. Il partito esce ridimensionato e lo stesso leader del partito di via Bellerio ha perso per strada alcuni fedelissimi come, ad esempio, Armando Siri, l’ideologo della flat tax. Ma il giorno dopo lo smacco subito reagisce con due mosse: la prima è quella di chiedere subito al futuro governo, e quindi a Giorgia Meloni, provvedimenti targati Lega come l’autonomia nel primo Consiglio dei ministri, oltre al decreto per il taglio delle bollette. Sarà lui a trattare sui ministri e sull’agenda. La seconda è l’annuncio che si dedicherà al partito. Farà partire una fase di ascolto nella convinzione che per recuperare consenso serve coesione. Nel Movimento di via Bellerio si punta a sciogliere intanto il nodo del rapporto con i governatori. Il sospetto tra i fedelissimi del leader è che questi ultimi continuino, sotto traccia, a tramare contro, e che mantengano un atteggiamento distaccato e attendista. Da tempo i presidenti di Regione dietro le quinte hanno chiesto al segretario di cambiare pelle, di dare ascolto alle istanze governiste piuttosto che a quelle incarnate da esponenti del partito come Claudio Borghi. «Ma - il ragionamento di un ’big’ della Lega - in questo momento serve un dialogo vero, per risolvere i problemi e non per acuirli». Chi non vuole rimanere nella barca in tempesta è invitato a viaggiare su altri lidi, il leitmotiv di chi punta sempre su Salvini, pur non nascondendo gli errori compiuti dal Capitano. La prima fase per il segretario sarà dunque quella delle trattative per la formazione dell’esecutivo. L’intenzione è di tenere il punto, a partire dal dicastero del Viminale. E di puntare su alcuni ministeri come quello della Giustizia. Ma dietro le quinte non mancano affatto i malumori. Esplicitati dallo stesso Luca Zaia che parla di «risultato deludente» e della necessità «di un’analisi seria» e dall’ex deputato e coordinatore del partito in Lombardia Paolo Grimoldi. Nella Lega c’è chi ricorda il rapporto di Grimoldi con numerosi ’big’ del partito, da Giancarlo Giorgetti a Massimiliano Fedriga, da Attilio Fontana ad altri e non esclude che possa candidarsi qualora si arrivasse ad un congresso regionale. Prospettiva che al momento non è sul tavolo, anche se lo stesso ex ministro dell’Interno ha avanzato l’ipotesi di un congresso l’anno prossimo. Il primo vero momento di confronto dunque ci sarà domani in Consiglio federale. Appuntamento in via Bellerio alle 15.