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GREEN DEAL
C'era una volta il Green Deal. C'è e ci sarà ancora ma molto diverso da quello impostato sei anni fa dalla Commissione europea con fragorosi squilli di tromba e grandissime ambizioni. Green Deal sì, però dimezzato, eroso voracemente ai margini, svuotato progressivamente dall'interno.
Naturalmente nelle dichiarazioni ufficiali al termine del dibattito sul tema del Consiglio europeo non si mette in discussione il traguardo, l'azzeramento delle emissioni, né la tempistica, il 2050. In compenso l'attacco concentrico nel quale il ruolo del governo italiano, dunque di Giorgia in persona, è stato molto rilevante, ha preso di mira gli “obiettivi intermedi”.
Il 2035 dovrebbe essere l'ultimo anno di vita per il motore a scoppio. La premier italiana, e non solo lei, insistono da un pezzo perché i bio- carburanti possano essere usati anche dopo quel termine. Significa prolungare a tempo indeterminato il percorso del motore a scoppio. Tanto la Commissione quanto tutti i leader europei condividono il 'ritocco'.
Entro il 2040 dovrebbe essere abbattuto il 90% delle emissioni. La premier ha detto chiaramente che l'Italia «non supporta» la proposta. Non ha messo il veto, come aveva promesso di fare nel dibattito di due giorni fa in Parlamento, ma non perché ci abbia ripensato.
Il 4 novembre i ministri dell’Ambiente degli Stati membri affronteranno il tema, con la raccomandazione generale di inserire «margini di flessibilità». Se saranno sostanziosi l'Italia si accontenterà, in caso contrario probabilmente ricorrerà davvero all'arma estrema del veto.
Infine la cosiddetta «esternalizzazione del taglio delle emissioni». S'intende quella dinamica, che definire neocoloniale è poco, per cui i Paesi più ricchi “comprano” una percentuale di taglio da quelli più poveri, in modo che siano loro a tagliare anche una parte della quota spettante ai Paesi più avanzati. La presidente von der Leyen propone di permettere una esternalizzazione del 3%. Alcuni paesi, tra cui Italia e Germania, trovano che sia troppo poco. La Germania vorrebbe arrivare al 4%. L'Italia al 5%.
Sarebbe però un errore valutare la svolta sul Green Deal solo in termini di ridimensionamenti percentuali. Il cambio di marcia è politico e culturale: la postazione non è ancora stata formalmente conquistata ma è palesemente destinata a esserlo e per cogliere la profondità dell'operazione sono necessarie alcune considerazioni.
La guerra contro i cambiamenti climatici era stata la scelta più impegnativa e qualificante decisa dalla Ue: il cuore della politica europea. Lo smantellamento di quella strategia è l'elemento comune a tutte le destre europee, tanto centrale, sia sul piano dell'identità sia su quello del consenso, quanto la crociata contro l'immigrazione.
Su quest’ultimo punto, infine, Giorgia Meloni non esagera affatto quando afferma che l'intera Unione ha adottato il punto di vista e le strategie proposte dalla destra italiana al governo. Basti pensare che i “summit paralleli” al vero e proprio Consiglio con l'obiettivo di accelerare le nuove strategie di contrasto all'immigrazione clandestina sono diventati un appuntamento fisso in occasione delle riunioni del Consiglio e a fare gli onori di casa, in perfette armonia e sintonia, sono la premier italiana di centrodestra e quella danese di centrosinistra, Mette Frederiksen.
Con l'offensiva che appare inarrestabile sui fronti dell'immigrazione e del Green Deal, la destra si è già portata molto avanti nell'alacre lavoro che mira a ridisegnare l'Europa a misura appunto di destre sovraniste. Nella quale si inscrive perfettamente anche il pronunciamento di Giorgia contro l'abolizione dell'obbligo di unanimità. Per questo, a Bruxelles, la decapitazione del patto verde era per la premier italiana, in prospettiva, più importante del tema principale in discussione, fondamentale ma meno strategico: l'ipotesi adoperare gli asset russi per finanziare il maxiprestito a Kiev.
L'Italia si sa è favorevole sulla carta ma con tanti e tali limiti da essere di fatto contraria a quell'utilizzo. Battaglia importante ma vinta in partenza: l'idea di toccare i fondi sovrani depositati in Belgio con l'escamotage di un “prestito” russo all'Ucraina che non verrebbe poi mai restituito è di fatto impraticabile. Il terremoto che innescherebbe avrebbe conseguenze disastrose di dimensioni imprevedibili. Portare a casa lo scalpo del Green Deal è per Giorgia Meloni più determinante e se non c'è ancora riuscita due giorni fa a Bruxelles ci si è avvicinata di parecchi chilometri.


