La lunga intervista rilasciata da Giorgia Meloni a diverse testate dalla masseria in Val d'Itria permette di fare il punto sulla situazione del governo e della maggioranza all'inizio della breve pausa estiva. In particolare a partire dalle due misure più discusse nelle ultime settimane: il salario minimo e il prelievo sugli extraprofitti. Sul primo capitolo sarebbe un errore, avvalorato per la verità dalle reazioni della segretaria del Pd, pensare che ci si trovi solo di fronte a un classico muro contro muro e che l'incontro tra governo e opposizioni della settimana scorsa sia stato una passerella mediatica vuota di contenuto. La realtà è non diversa ma opposta.

Dopo essere partita da tutti i punti di vista col piede sbagliato, pensando di liquidare la faccenda di corsa con un emendamento soppressivo, Giorgia Meloni ha capito di essersi sbagliata, di aver lasciato in mano alle opposizioni una carta vincente e di stare infliggendo un colpo durissimo alla sua immagine di leader attenta anche agli interessi delle fasce deboli. Di fatto la sua è stata una svolta a U, anche a prezzo di concedere al Pd e a Conte una vittoria che del resto Schlein non rivendica con sufficiente chiarezza. La stessa decisione di affidare alla pratica al Cnel è in buona misura un espediente per nascondere la ritirata.

La fastidiosa grana che doveva essere sbrigata in un paio d'ore senza nemmeno farla approdare nell'aula della Camera è diventata l'impegno a presentare una proposta complessiva in 60 giorni, tale da riguardare tutto il lavoro povero. Il salario minimo non ci sarà. Non nella forma proposta dalle opposizioni almeno. Ma l'apertura contenuta nell'intervista, la disponibilità a discuterne «per alcune categorie» è significativa. In realtà anche nella proposta per la quale i partiti dell'opposizione stanno raccogliendo le firme il salario minimo riguarda essenzialmente “alcune categorie”, quelle cioè non contrattualizzate o esposte alle forche caudine dei contratti pirata. Il passo avanti sulla strada di un'intesa è sostanzioso pur se non ancora decisivo. Sul tema però la maggioranza non è affatto unita.

Nell'incontro di palazzo Chigi Salvini, in un intervento brevissimo e da remoto, ha ribadito che la posizione della Lega è quella già illustrata dal sottosegretario leghista Durigon e si tratta di un passaggio molto spinoso perché dalle parole del sottosegretario sembra trapelare l'intenzione non di eliminare ma di ufficializzare i contratti pirata. La partita è doppia: tra governo, opposizione e sindacati ma anche all'interno della maggioranza. In ogni caso la mossa non solo formale della premier indica almeno la consapevolezza di non poter restare sulla posizione più di austerità che di semplice rigore sinora assunta.

Quella posizione ha garantito al governo della destra la benevolenza della Bce e di Bruxelles, manda in sollucchero anche molti commentatori e poteri ben poco teneri con quel governo. Però rischia di costare troppo alla premier in termini di consenso e credibilità popolare.

Meloni, poi, non solo rivendica personalmente la tassa sugli extraprofitti, decisione imposta al leader azzurro Tajani ma in buona misura anche al ministro dell'Economia Giorgetti, ma la qualifica esplicitamente come scelta politica. Nel merito e nella sostanza sia la portata che gli effetti del provvedimento sono ancora incerti. Il tentativo di ridimensionare ulteriormente in Parlamento il prelievo, già dimezzato dal tetto massimo dello 0,1 per cento del totale attivo, è già certo e qualcosa, forse molto, riuscirà a erodere.

I proventi, ha dimostrato Emiliano Brancaccio, andranno a vantaggio soprattutto dei “padroncini”, cioè dei piccoli imprenditori in debito con le banche e non dei debitori alle prese con i mutui in salita. Ma la scelta, come ci tiene a sottolineare la premier, era essenzialmente politica: mirava cioè a lanciare un messaggio forte e proprio per questo Meloni ha deciso solo con Salvini, sulla testa di Tajani ma anche di una parte non irrilevante della Lega.

La “svolta” della premier, se sopravviverà all'agosto e non verrà rimangiata implica però un grosso problema: la prossima legge di bilancio. Se non vuole che sia di nuovo all'insegna dell'austerità, la premier e Giorgetti dovranno trovare coperture e forse sfidare quell'establishment europeo che sinora li ha coperti proprio in virtù di un'accettazione completa del rigore.