Una riforma è una riforma. Di rimaneggiare anche radicalmente la seconda parte della Costituzione se ne parla da quasi trent'anni: non c'è riuscito quasi nessuno e quando la politica ce l'ha fatta, come con l'introduzione del Titolo V sull'autonomia delle Regioni all'inizio del millennio, ha per lo più fatto danni. Insomma, se c'è un tema che dovrebbe essere affrontato senza tatticismi e posizionamenti, senza parlare di ampi orizzonti con la mente rivolta agli interessi del presente, sono proprio le riforme istituzionali. Ma l'occasione è troppo ghiotta e tutti nei palazzi della politica già sanno che molti useranno la partita delle riforme per sviluppare i loro giochi politici.

La premier vuole che la legge inizi il percorso parlamentare prima della pausa estiva: la proposta dovrebbe dunque essere pronta entro le prossime settimane ed è praticamente certo che la pietra angolare sarà l'elezione diretta del premier. Giuseppe Conte è stato tassativo nell'escludere a priori il sostegno del M5S al premierato, proprio come Elly Schlein. Eppure nello stato maggiore del Pd come nelle file di Avs nessuno crede davvero che i due principali partiti dell'opposizione riusciranno a combattere insieme una battaglia che cementerebbe la necessaria alleanza. «Conte farà come sempre il suo gioco, che è proprio suo, non del M5S», commentano dal gruppo Pd al Senato ed è probabile che le cose andranno proprio così. Con i rapporti di forza tra i due partiti registrati dalle elezioni comunali una identica campagna contro la riforma sarebbe la battaglia di Elly Schlein con il partito di Conte relegato in ruolo secondario e vassallo. Dunque l'ex premier cercherà probabilmente di smarcarsi senza approvare l'elezione diretta ma cercando una posizione autonoma, solo in parte coincidente con quella del Pd e su quella base tratterà su singoli punti della riforma con la maggioranza.

Il Terzo Polo, se esistesse ancora, sarebbe la sponda della premier nell'opposizione: sia Renzi che Calenda lo avevano annunciato e più volte confermato. Però il Terzo Polo non esiste più, la rottura tra i due galli nel pollaio centrista non sembra ricucibile e la faccenda si complica. Su Renzi in realtà non ci sono dubbi: sfrutterà l'occasione per cercare di rinchiudere il Pd nei confini angusti di un partito conservatore che non vuole cambiare niente e garantire a quel vascello corsaro che è Iv spazio di manovra a metà strada tra i due Poli. Cosa sceglierà di fare Calenda è meno prevedibile. Quasi certamente non farà mancare il sostegno all'elezione diretta in sé ma quando si tratterà di definire i particolari, che in casi come questo tutto sono tranne che “un particolare” e rappresentano anzi l'essenziale, le cose potrebbero cambiare e l'umorale leader di Azione potrebbe riservare sorprese. Tra quei “particolari”, tutti essenziali, ce n'è uno più essenziale degli altri, anzi determinante: la norma che deciderà il da farsi se il premier eletto dal popolo fosse sfiduciato o si dimettesse. Il modello sbandierato a più riprese da Renzi, quello del “sindaco d'Italia”, imporrebbe lo scioglimento delle Camere e il ritorno alle urne. In questo modo però il Parlamento sarebbe ostaggio permanente di un premier che potrebbe decretare in ogni momento lo scioglimento delle Camere e le prerogative del capo dello Stato, già molto ridimensionate dalla sottrazione della facoltà di nominare presidente del Consiglio e ministri, letteralmente scomparirebbero.

Qui la partita si allarga alla stessa maggioranza, che in materia non è affatto coesa. Per la Lega il “sindaco d'Italia” è inaccettabile. Significherebbe consegnarsi, nella prossima legislatura, al premier eletto che certo non sarà un leghista. In realtà, e per gli stessi motivi, il Carroccio preferirebbe di gran lunga la proposta del Pd, il “cacellierato”, modello che rafforzerebbe i poteri del presidente del consiglio, lo renderebbe anche formalmente non più primus inter pares ma capo del governo, però senza elezione diretta. Salvini e Calderoli sanno di non potersi attestare su questa posizione, perché l'elezione diretta è per la premier imprescindibile e perché in ballo c'è lo scambio tra questa e l'autonomia differenziata. Ma in corso d'opera, potrebbero aprirsi varchi ed è proprio su questo che punta il Pd, convinto che il percorso partirà dal premierato ma approderà poi al cancellierato. In caso contrario, secondo gli strateghi del Nazareno, Meloni dovrà affrontare il referendum confermativo che rappresenterebbe per lei comunque un grosso rischio. In un quadro simile, con praticamente tutti gli attori in campo impegnati in giochi tattici, è evidente che la partita delle riforme condizionerà a fondo non solo il gli assetti istituzionali del futuro ma anche la scacchiera politica del presente, gli equilibri di questa legislatura. Al momento tuttavia il primo nodo da sciogliere è la definizione stessa del campo di gioco: bicamerale presieduta da Marcello Pera oppure commissioni congiunte con regia della ministra Casellati? La decisione ancora non c'è ma a prevalere sarà probabilmente la ministra che, in caso contrario, la prenderebbe malissimo.