Imbarazzi in vista per Giorgia Meloni, da tempo indecisa se indossare il vestito buono della presentabilità a Bruxelles o se riprendere il vecchio abito sovranista appena uscito dalla tintoria. Perché il caso di Ilaria Salis - la ragazza italiana accusata di tentato omicidio per l’aggressione a due militanti neonazisti a Budapest e portata in catene nell’aula di un tribunale ungherese - rimette al centro il tema delle “amicizie pericolose” della premier italiana. E la vicinanza con Viktor Orbàn, estromesso persino dal blocco di Visegrad per le simpatie filoputiniane, può trasformarsi in un incubo per le ambizioni europee della leader dei Conservatori.

Lo “sgarbo” nei confronti di una cittadina italiana commesso all’interno dell’aula di un tribunale di un Paese amico costringerà Meloni a un intervento diretto che si sarebbe volentieri risparmiata. Proprio lei, guida di un partito che solo due settimane fa si era distinto a Bruxelles come strenuo difensore del governo ungherese, votando contro una risoluzione parlamentare che contestava la decisione della Commissione di sbloccare 10,2 miliardi di euro a favore dell’Ungheria. Motivo del congelamento dei fondi ( poi sbloccato dalla Commissione)? Le continue violazioni dello stato di diritto in terra magiara, per ironia della sorte. Violazioni, che secondo il Parlamento europeo non sono state rimosse. O almeno così la pensano i 345 europarlamentari ( popolari, socialisti, liberali e verdi) che due settimane fa hanno fatto passare la risoluzione “anti Orbàn” nonostante il parere contrario dei Conservatori ( guidati dall’italiana Fd’I) e di Identità e democrazia ( il gruppo della Lega).

Magari, se avesse saputo che di lì a poco a finire vittima della giustizia all’ungherese sarebbe stata una cittadina italiana, Meloni si sarebbe risparmiata una mossa così compromettente. O forse no. Visto che la premier italiana non ha mai nascosto i suoi ottimi rapporti con Orbàn, ostentando più volte vicinanza e apprezzamento per le politiche ungheresi fino ad augurarsi «una grande battaglia» comune «per difendere le famiglie», che «significa difendere l’identità, difendere Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà». Perché l’estrema destra europea ha sempre continuato a fare quadrato attorno al vecchio Viktor, nonostante la diffidenza di quasi tutte le cancellerie europee. Quelle stesse cancellerie che Giorgia Meloni prova a rassicurare dal primo giorno di governo, mostrando accondiscendenza e capacità di sopportazione. Senza rinunciare mai, però, al suo di progetto: quello di rendere il gruppo dei Conservatori centrale nel futuro Parlamento Ue e capace di determinare una nuova maggioranza a Bruxelles. La strada è complessa e passa dal successo elettorale da un lato, e dalla capacità di dialogare con Popolari e Liberali dall’altro per estromettere i Socialisti dal tavolo che verrà.

Ma per poter chiudere un accordo con l’ala moderata di Bruxelles, che magari riporti Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, non basta sbattere le porte in faccia a Marine Le Pen e all’estrema destra accasata nel gruppo di Identità e democrazia, è indispensabile che Meloni faccia un po’ di pulizia anche all’interno dei Conservatori, dove non si trova a suo agio solo la “nostalgica” Vox, ma per una questione di necessità potrebbe trovare ospitalità persino Fidesz, il partito del presidente Orbàn. Dopo essere uscito dal Ppe, infatti, il partito di governo ungherese è rimasto senza casa e da tempo bussa al gruppo meloniano per trovare un tetto confortevole. Di spazio ce ne sarebbe, anzi, più gente c’è più il peso politico della leader italiana aumenta, ma quel peso rischia di trasformarsi in una zavorra inutile se i coinquilini fanno paura più di mezza Europa. Perché l’Orbàn che aspetta all’uscio di Meloni è lo stesso che fino a ieri esercitava il suo potere di veto per bloccare gli accordi sulla revisione del bilancio comunitario, per chiudere i rubinetti aiuti all’Ucraina e per sabotare l’intesa sui migranti tanto cara al governo italiano. È questo, da sempre, il paradosso dei sovranismi: urlano insieme ma si sgambettano a vicenda.

La presidente del Consiglio, che tanto ha faticato per rifarsi una facciata eurpeista e atlantista, non potrà continuare a lungo a giocare d’ambiguità. Le elezioni di giugno sono vicine e Meloni dovrà decidere da che parte stare una volta per tutte e quale abito indossare per presentarsi all’appuntamento più importante per il suo ambizioso progetto politico. Il bivio non è più aggirabile: leader dei nazionalisti europei o perno della nuova Europa?