Più che un piano B è un piano A, perché da mesi tutti i sondaggi raccontavano la stessa storia: il Rn di Marine Le Pen avrebbe doppiato Renaissance, la lista di Emmanuel Macron, diventando il primo partito e superando di gran lunga il 30% dei consensi. Uno scenario a cui il presidente francese non poteva non arrivare preparato. E la rapidità con cui ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea nazionale, convocando elezioni politiche lampo(si voterà tra appena tre settimane) sembra confermare l’ipotesi che avesse in mente da tempo questo schema.

Non una reazione a caldo, una sfida guascona, un’insensata voglia di rivincita, ma un calcolo preciso che va in una direzione precisa. Macron ha deciso tutto da solo consultando al massimo la ristretta cerchia di consiglieri presidenziali, l’intero mondo politico è rimasto disorientato dalla mossa dell’Eliseo. I suoi alleati come gli avversari, i quali hanno ottenuto proprio quello che domenica sera pretendevano in modo scomposto: una chance enorme di governare, subito, la Francia.

Anche nella sua coalizione in pochi si aspettavano, a un paio d’ore dal disastroso esito delle europee, di vederlo apparire in tv e pronunciare davanti alla nazione la fatidica parola: dissolution. L’ultimo a farlo fu Jacques Chirac nel 1997, ma per motivi diametralmente opposti: il suo premier Alain Juppé era contestato da un movimento sindacale che aveva paralizzato l’intero Paese e la dissolution era in quel caso un modo per rafforzare la maggioranza di governo e realizzare la riforma delle pensioni. Solo che si rivelò un tragicomico errore: la gauche plurielle stravinse contro ogni aspettativa le elezioni e Chirac e fu così costretto a nominare primo ministro il socialista Lionel Jospin. Nel gergo della Quinta repubblica si chiama “coabitazione” e indica la convivenza forzata tra un presidente e un esecutivo di colori politici differenti.

A questo punto solo un miracolo potrebbe impedire a Marine Le Pen e al suo delfino Jordan Bardella di dominare anche le legislative del 30 giugno e del 7 luglio, di ottenere una maggioranza all’Assemblea Nazionale e di proiettare il giovanissimo e lanciatissimo Bardella a Matignon per i prossimi tre anni. Una nuova coabitazione appare dunque all’ombra della torre Eiffel.

Certo, in queste settimane la sinistra, i macroniani e quel che rimane del campo moderato lanceranno accoratissimi appelli repubblicani per fermare l’ascesa degli eredi di Jean Marie Le Pen, proveranno a fare barrage, a mettere in piedi la retorica del fronte popolare gridando al pericolo fascista, senza averne gli strumenti e soprattutto senza averne il tempo. Magari sperando di recuperare un po’ di astensione e di limitare i danni ai ballottaggi, di complicare in qualche modo la vittoria annunciata del Rn.

Ma se ha una coerenza, il piano a di Macron nasconde molte insidie, soprattutto per il trionfante partito di Marine Le Pen, smanioso di sedersi sulle poltrone dei ministeri.

Per farsene un’idea bisogna guardare alla storia recente e, per l’appunto, alle ultime tre coabitazioni che si sono rivelate letali per il premier. Nel 1986, dopo aver perso le legislative, François Mitterrand nomina primo ministro il gollista Chirac al quale bastano due anni di governo per perdere le presidenziali del 1988 proprio contro Mitterrand. Cinque anni dopo tocca al liberale Eduard Balladur subire lo stesso infausto destino: nominato primo ministro sempre da Mitterrand perderà rovinosamente le presidenziali del 1995 che incoronano il redivivo Chirac, il quale in sei mesi riesce a guadagnare oltre dieci punti su Balladur decretandone la morte politica.

E nel 2002 la storia si ripete per la terza con il premier socialista Jospin che viene clamorosamente eliminato al primo turno delle elezioni presidenziali proprio da Jean Marie Le Pen e abbandona per sempre la politica attiva. Chi tocca Matignon muore, non a caso il primo ministro viene scherzosamente chiamato “il fusibile della repubblica”. È questa la trappola che attende il Ressemblement National: venire normalizzato dall’esercizio del potere, doversi adattare alle compatibilità, ai vincoli dell’Unione europea, alle linee di politica internazionale che, in ogni caso, saranno definite da Macron fino al termine del suo mandato. Perdendo così quell’appeal anti-sistema di partito mai entrato nelle stanze dei bottoni che ha costituito la sua fortuna e la sua unica ragion d’essere.