Lo vogliamo chiamare l'Autunno del giovane Patriarca? O più prosaicamente un autunno da paura? Ognuno scelga la definizione che preferisce, tanto la sostanza non cambia. E la sostanza è che tra settembre e novembre per Matteo Renzi saranno una settantina di giorni da passare sulle montagne russe di pronuncia della Consulta sull'Italicum, referendum costituzionale, preparazione e consegna al Parlamento, che la dovrà votare, della legge di Stabilità. Anche a voler soprassedere su tutti gli altri temi all'ordine del giorno, alcuni dei quali davvero tremendi - basta pensare al dramma dell'immigrazione o alla questione libica o anche, per restare in ambito domestico ma non meno complicato, la riforma penale o la disciplina definitiva delle intercettazioni - è indiscutibile che per il presidente del Consiglio si tratta di una sorta di triangolo delle Bermuda dove ad ogni mossa sbagliata si rischia il precipizio.Sotto questo profilo, si capisce che la querelle sulla scelta della data di celebrazione del referendum, sicuramente importante, è figlia più della verve polemica che sempre accompagna il confronto politico in Italia, che di una reale problematicità. Andare alle urne a inizio-metà ottobre oppure alla fine di novembre in fondo non cambia il segno della sfida politica che premier, Pd e maggioranza si troveranno ad affrontare. Che si sostanziano nel quesito-brivido: se Renzi perde il referendum, si dimette o no?Se la Consulta boccia l'ItalicumAndiamo con ordine. Come è noto, ad ottobre, la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sulla nuova legge elettorale, prima per quel che concerne l'ammissibilità di alcuni ricorsi, poi specificamente nel merito. Aprire le urne referendarie prima, è praticamente impossibile. Dunque gli italiani si esprimeranno sul nuovo Senato già sapendo se l'Italicum va bene oppure no. Cambia? Certo. Se infatti i giudici costituzionali lasceranno intatto il meccanismo di voto, Renzi avrà una formidabile arma in mano per convincere i riottosi - fuori e soprattuto dentro al suo partito - che la loro battaglia è persa in partenza. In altre parole sarà più forte, molto più forte, godendo di una specie di nemesi positiva: dacché voleva anticipare a inizio ottobre l'apertura delle urne per pressare la Consulta, si ritroverebbe con un vantaggio dalla posticipazione della data di svolgimento della consultazione popolare.Se invece la Corte farà a pezzetti la legge elettorale, per esempio giudicando abnorme il premio di maggioranza o bocciando le liste bloccate, è vero che il premier potrà sempre far buon viso a cattivo gioco e dire che è costretto a cambiare l'Italicum (cosa che non vorrebbe fare), ma è altrettanto vero che quel niet dei giudici figurerebbe come un colpo di maglio all'immagine riformista renziana, un dardo dritto al cuore della sua narrazione, producendone il collasso. Rigettando l'Italicum in sostanza la Corte certificherebbe che un governo che aveva come precisa mission di cambiare una norma giudicata incostituzionale come il Porcellum, ne ha partorito un'altra altrettanto indigeribile e scorretta. Non esattamente un successo, insomma. A quel punto quante chances avrebbe il capo del governo di veder prevalere i Sì referendari? Chissà, forse ci sarebbero bookmakers decisi a rigettare le puntate.Il taglio all'Irpef ora è una chimeraTutto qui il difficile autunno? Per niente, anzi. Più i giorni passano, infatti, più nuvole nere si addensano sul cammino della legge di Stabilità. Renzi voleva farne una formidabile occasione per misure di ripresa economica concretamente avvertibili dai cittadini e anche, perché no?, tali da fruttare consenso a mani basse. Tipo la riduzione dell'Irfep, mitico obiettivo da tanti evocato, Silvio Berlusconi in primis, e però mai raggiunto. Purtroppo però le cose non stanno andando per il verso giusto. Le stime di crescita dovranno con ogni probabilità essere riviste al ribasso, e siccome su quelle stime sono stati fatti i calcoli del bilancio pubblico, è verosimile che serviranno più fondi per le agognate misure espansive. Fondi che non ci sono né sono alle viste stratagemmi per assicurarli. Il velenoso accenno fatto da Renzi alle "trappole" che i suoi precedessori Mario Monti ed Enrico Letta avrebbero disseminato lungo il sentiero del risanamento dei conti pubblici, è spia del nervosismo che serpeggia lungo l'asse tra Palazzo Chigi ed il ministero dell'Economia. Però mettere in sicurezza i conti è fondamentale. Per questo il capo dello Stato (rigidamente fuori dai canali dell'ufficialità) non vede di cattivo occhio che il referendum si svolga dopo che almeno una Camera abbia approvato la legge di Stabilità. In modo da mettere al riparo, per quel che sarà possibile, l'Italia dall'attacco speculativo che arriverebbe come uno tsunami sui mercati in caso di sconfitta renziana. Per questo il viceministro Morando spiega che il referendum si voterà a fine novembre. Quel che Morando non dice, perché non può, è dove si troveranno i soldi che mancano. Forse non si troveranno e basta. E allora l'autunno di Renzi sarà da paura. Eccome.