Alberto Balboni ( Fdi) è il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, dove la riforma del’Autonomia del ministro leghista Roberto Calderoli prosegue tra il dialogo con l’opposizione e le richieste della stessa.

Presidente Balboni, sull’Autonomia è tornato il sereno tra maggioranza e opposizione?

Innanzitutto vorrei chiarire che in commissione si è sempre lavorato serenamente e costruttivamente. Nel merito delle questioni il confronto è sempre stato cordiale e proficuo, perché come presidente non solo ho sempre garantito il rispetto delle prerogative dell’opposizione, ma sono anche andato incontro a ogni loro richiesta, e devo dire anche il governo. Ci sono state più di 60 audizioni, che è un record, e un dibattito nel quale di certo non sono stati compressi i tempi. Sono intervenuti oltre 50 senatori e per ovvie ragioni in gran parte erano dell’opposizione. Poi c’è stata l’illustrazione degli emendamenti e anche li non siamo stati con il cronometro in mano.

A proposito di emendamenti, l’articolo 3 del testo, che riguarda i livelli essenziali di prestazione, è stato sostituto: perché?

Ho presentato un emendamento sostitutivo dell’articolo 3 perché ho inteso accogliere molte osservazioni non delle opposizioni ma degli esperti che abbiamo chiamato a dirci la loro. L’ho concordato con il ministro Calderoli e prevede che i Lep non vengano definiti più con Dpcm ma con decreti legislativi e che quindi venga coinvolto il Parlamento. Su questo mio emendamento, pur non essendoci nessun obbligo dal punto di vista regolamentare, ho dato possibilità all’opposizione di presentare i sub emendamenti, e ne sono arrivati più di 50.

Un emendamento Pd (accolto) prevede che l’Autonomia può essere «modificata o revocata dallo Stato». Non è un passo indietro rispetto alle richieste del vostro alleato leghista?

Vede, c’è stata sempre la massima disponibilità al dialogo e al confronto con l’opposizione. Quello sull’autonomia non è un testo preconfezionato da prendere a scatola chiusa. È, al contrario, un punto di partenza. L’approvazione degli emendamenti dell’opposizione è la dimostrazione che un conto è la polemica politica, altro conto è il lavoro in commissione. Di 50 votazioni circa, sono stati accolti una decina di emendamenti di cui tre della maggioranza e sette dell’opposizione. L’importante è che nessuno si arrocchi su posizioni preconcette.

Altri emendamenti dell’opposizione tuttavia sono stati bocciati: perché?

Ho voluto che venisse spiegato il perché della contrarietà alle proposte di modifica, e quel che è venuto fuori è che in molti casi il parere contrario agli emendamenti bocciati non era nel merito ma tecnico. Ad esempio, non c’è bisogno di scrivere che vanno rispettati certi articoli della Costituzione: è pleonastico, essendo la Carta una legge superiore.

Spesso si parla di uno scambio tra Fdi e Lega: l’uno vota l’Autonomia, l’altra la riforma costituzionale. È così?

Quel che posso dire è che riguardo alle richieste di Fdi sono molto soddisfatto, perché è stato approvato un emendamento che sancisce il principio della coesione nazionale allo scopo di diminuire le differenze tra i territori e non di acuirle. Sono convinto che questa sarà una legge ben fatta, anche dopo le dovute correzioni, e che sarà un’occasione per avviare un processo virtuoso in base al quale modernizzare il paese grazie al principio dell’autonomia, che ricordiamolo va di pari passo con quello della sussidiarietà scritto in Costituzione.

Veniamo ai livelli essenziali di prestazione, sui quali sta lavorando il comitato presieduto dal professor Cassese. Come agirete?

Su questo punto occorre fare chiarezza. La definizione dei Lep è obbligatoria a prescindere dall’autonomia. E tutti i governi precedenti su questo sono stati inadempienti. I Lep sono necessari per l’autonomia differenziata, ma andavano garantiti a prescindere e la colpa di ciò che non è stato fatto non può essere certo attribuita a un governo in carica da otto mesi. Insomma, non c’è dubbio che la definizione dei Lep sia pregiudiziale all’applicazione di questa legge, ma vorrei chiarire che le due norme viaggiano su binari diversi.

Ha parlato dei governi precedenti, tra i quali anche quello che nel 2001 diede vita alla riforma del titolo V. L’obiettivo di questa riforma è correggere gli errori dell’epoca?

Questa è una legge ordinamentale, cioè stabilisce come muoversi nel caso in cui una regione chieda l’applicazione della Costituzione, agli articoli 116 e 117. Ch sono proprio il frutto di quella riforma, portata a casa con voto di fiducia a 15 giorni dallo scioglimento della legislatura da quegli stessi partiti che oggi protestano. Di certo in quella riforma c’erano degli errori, basti pensare che i conflitti concorrenti hanno paralizzato per anni e anni la Corte costituzionale. Chi oggi ci critica sui giornali è gente che magari non ha neanche letto il testo. Se il governo volesse procedere come i governi precedenti di centrosinistra avrebbe avviato le pre- intese tra Stato e Regioni senza bisogno di alcuna norma che le regolamentasse. Invece abbiamo fatto una cosa diversa, cioè una legge ordinamentale nella quale si dice come procedere, quali soggetti devono essere coinvolti e quale percorso bisogna fare.

Con quali motivazioni rispedisce al mittente gli avvertimenti di chi dice che questa riforma frammenterà ancora di più un paese già molto fratturato?

In questa legge abbiamo inserito alcuni principi i quali permettono di evitare in maniera chiara questo rischio. Innanzitutto nel momento in cui si devolvono le materie o le funzioni di alcune materie va verificato che questo non leda l’interesse nazionale. Ad esempio abbiamo approvato un emendamento che dice che il presidente del Consiglio può limitare il trasferimenti di funzioni che possono ledere l’interesse nazionale. Poi abbiamo scritto che anche qualora alcune Regioni dovessero chiedere e ottenere la devoluzione di determinate materie e questo comportasse un maggior onore per lo Stato, le Regioni che non hanno chiesto la devoluzione vedranno trasferito denaro in pari quantità rispetto a quello dato alle Regioni che le ottengono. C’è poi un fondo di solidarietà per diminuire le differenze tra le Regioni più ricche e quelle più povere.

Qual è l’obiettivo finale della riforma?

Negli ultimi vent’anni le differenze sono aumentate e non solo tra nord e sud ma anche tra centro e periferia o tra entroterra e zone di montagna. Questa legge, se ben fatta, potrà essere davvero l’avvio di un percorso virtuoso che permetta di ottimizzare l’uso delle purtroppo scarse risorse che abbiamo a disposizione.