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IMAGOECONOMICA
Ufficialmente a Palazzo Chigi lo danno per molto improbabile, ma le vie della diplomazia - si sa - sono infinite. Stiamo parlando di un possibile bilaterale, anche se ufficioso, tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni questo fine settimana a Bruxelles a margine del Consiglio Ue.
Il tema è il gelo che è calato tra l'Italia e la Francia dopo le ultime uscite del presidente transalpino, rispetto alla possibilità di inviare truppe Nato in Ucraina e dopo la promozione di un vertice a tre con Germania e Polonia proprio sul conflitto in corso, bypassando sia le istituzioni atlantiche che quelle comunitarie.
Dopo questo ciclo di sgarbi, avviato con la mancata presenza a fine febbraio al G7 a Kiev presieduto dalla nostra premier nella capitale ucraina, la riunione dei leader Ue prevista per giovedì e venerdì prossimo potrebbe rappresentare un tentativo di smussare gli angoli tra i due, anche in vista di una serie di appuntamenti che suggerirebbero uno spirito più conciliante.
Tra l'altro, al centro del Consiglio Ue ci sarà proprio la questione degli aiuti europei a Kiev e di come scongiurare una sconfitta ucraina senza però che gli stati membri prendano parte attiva alla guerra. E il nodo, lasciano intuire a mezza bocca da Piazza Colonna, è proprio questo: Giorgia Meloni finora su questo fronte si è mossa bene, riuscendo - tra le altre cose - a portare il più putiniano dei leader europei (Viktor Orban) a più miti consigli e a fargli votare gli aiuti, in virtù del rapporto personale e di una serie di considerazioni che attengono i futuri assetti del campo conservatore dopo le prossime Europee.
Questo ha aumentato l'apprezzamento di Washington per la presidente del Consiglio, come visto in occasione dell'ultima missione di Meloni alla Casa Bianca e della sintonia mostrata con Joe Biden. Avere a propria disposizione la vetrina del G7, inoltre, non può non giocare a favore della causa meloniana e della costruzione di uno standing internazionale per una figura che era vista fino a qualche mese fa come una parvenue.
Ed è proprio questo, nell'anno delle Europee, che secondo l'analisi dei collaboratori più stretti alla nostra presidente del Consiglio ha indotto Macron a muoversi e a fare da “guastatore”, portando su di sé riflettori altrimenti puntati altrove. Una necessità di rilanciare sull'Ucraina, quella dell'Eliseo, dettata dunque dall'esigenza di non lasciare ad altri la leadership e, soprattutto, che si cementi il rapporto tra Italia e Usa, che non sarebbe in alcun modo minacciato dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, cosa che invece viene vista a Parigi come una iattura. Inoltre, si osserva che l'attivismo di Macron potrebbe essere anche dettato da oggettive difficoltà sul fronte della politica interna.
Dalle parti di Palazzo Chigi si ritiene che non può essere un caso che quando l'attivismo e gli sforzi diplomatici del nostro governo si riversavano principalmente sul contrasto all'immigrazione illegale, i principali dissapori tra con la Francia erano giunti dopo le dichiarazioni di alcuni ministri transalpini nei confronti delle politiche italiane, in primis quello dell'Interno Darmanin, aspirante candidato alle presidenziali del 2027.
Oggi il terreno è quello dell'atlantismo e della politica estera, per un presidente francese che aveva dichiarato a inizio guerra che «non bisogna umiliare Putin», ma che nel frattempo si è fatto sfilare dallo stesso Putin o dalle nazioni amiche di quest'ultimo l'influenza sugli stati africani del Sahel e ha bisogno di far dimenticare lo scacco. In questo quadro, la scelta di Giorgia Meloni è quella di non impegnarsi personalmente in polemiche ritenute sterili, anche in virtù del ruolo assunto dall'inizio dell'anno per il G7.
Al posto suo, ci hanno pensato i ministri competenti Crosetto e Tajani a ribadire la linea del nostro paese e dell'Ue sulla natura dell'impegno occidentale a favore di Kiev, cercando di ribadire l'importanza di fare riferimento ai consessi opportuni. «Vogliamo la pace, non la terza guerra mondiale- ha affermato a chiare lettere Tajani - è impossibile mandare truppe in Ucraina, vorrebbe dire incendiare il mondo. Così - ha aggiunto - non si fa il bene dell'Europa unita. Rischiamo di apparire divisi agli occhi di Putin».
Due giorni prima il ministro della Difesa Crosetto era stato più diretto: «Non capisco perché per motivi interni qualche Paese debba sembrare più attivo di altri, la Nato non decide quando Macron ha un'idea ma quando si trovano tutti i Paesi e prendono una decisione. L'Italia ha detto fin dall'inizio che mandare le truppe in Ucraina significa fare un passo ulteriore verso una via di non ritorno. Noi vorremmo arrivare a una pace giusta per l'Ucraina – ha concluso - non a una guerra che coinvolga ancora più Paesi». Parole che magari Meloni potrebbe ripetere in un eventuale faccia a faccia giovedì o venerdì prossimo.