Congresso anticipato di qualche settimana e primarie aperte, da un lato; fase costituente e tempi prolungati, dall’altro. È su questo che l’assemblea del Partito democratico è chiamata oggi ad esprimersi in un clima che nelle ultime ore si è fatto da notte de lunghi coltelli, con maggioranze variabili e fragili alleanze tra correnti. «Franceschini è silente», dice di sé parlando in terza persona l’ex ministro della Cultura, fresco di nomina alla presidenza della Giunta per le immunità e le elezioni del Senato. E se Dario Franceschini è silente, significa che in Assemblea ci sarà parecchio rumore.

Il segretario Enrico Letta presenterà la proposta di modifica dello statuto così da poter anticipare i tempi del Congresso, fissare le primarie a febbraio e aprire il percorso agli esterni. Il tutto per venire incontro all’esigenza politica di frenare l’emorragia di voti, in particolare verso il Movimento 5 Stelle, e dare risposte a chi, dall’interno del partito, chiede di liberarsi dalla tenaglia di M5S e Terzo polo. Da ultimo, un gruppo di donne dem, da Valeria Fedeli ad Alessia Morani, da Alessandra Moretti a Enza Bruno Bossio, che oggi porteranno in Assemblea una petizione con più di mille firme per chiedere l’anticipo del Congresso a gennaio. “«Abbiamo deciso con un gruppo di donne di suonare la sveglia al Pd in un momento in cui ci dovrebbe essere un’opposizione forte a questo Governo - scrivono le esponenti dem - Auspichiamo una grande partecipazione, siamo a un momento di svolta per i destini del Pd». Nell’appello si chiede «coraggio e generosità», con l’auspicio di «non vedere ridotta in macerie» una casa costruita quindici anni fa.

Ma per approvare la proposta del segretario servono almeno 500 voti, cioè un accordo tra le varie anime del partito, e non è affatto scontato che l’ex presidente del Consiglio li otterrà. Dovesse andar sotto, spiegano fonti del Nazareno, sarebbe costretto alle dimissioni.

Dall’altro lato ci sono coloro che puntano a una fase costituente che rinnovi completamente il partito e che, per farlo, utilizzi tutto il tempo necessario, rinviando i tempi del Congresso. È ciò che auspica la sinistra del partito, da Nicola Zingaretti ad Andrea Orlando, passando per il vicesegretario Peppe Provenzano, così da organizzarsi e puntare a strappare la segretaria dalle mani di quello che, a oggi, sembra il grande favorito in caso di Congresso in tempi brevi: Stefano Bonaccini.

Così da consegnare magari il Pd a Elly Schlein, vice di Bonaccini in Emilia- Romagna e intenzionata a fare sul serio. A partire dai temi più cari alla sinistra, dal welfare al lavoro, fino alla transizione ecologica. Passando magari per una vittoria di Pierfrancesco Majorino in Lombardia, la cui candidatura è stata ufficializzata dopo settimane di tira e molla. «Il Pd ha scelto di correre in Lombardia con Majorino spostando l’asse della coalizione su Agnoletto ( fronte anticapitalista), Sinistra Italiana e forse M5S - ha scritto ieri su twitter Caro Calenda, il cui tentativo i far convergere i dem su letizia Moratti è stato vano - Amen, evitate ora di incasinare anche il Lazio continuando a supplicare i Cinque Stelle: almeno una proviamo a vincerla». E proprio a proposito di Lazio, chi prova ancora a tirare il Pd per la giacchetta è Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, secondo il quale «Pd e M5S devono costruire una piattaforma comune». Altrimenti, continua Fratoianni, «è inutile fare campagna elettorale ma così è un po’ una presa in giro e c’è una parte di elettorato che è incavolato».

Ma più di un dirigente dem è scettico sul fatto che l’Assemblea di oggi non approvi la proposta del segretario. Magari con qualche mal di pancia da una parte e dall’altra, sia tra chi vorrebbe allungare i tempi per frenare la corsa di Bonaccini, sia tra chi punta ad accorciarli per tagliare le gambe ai suoi possibili sfidanti. E chissà che alla fine non sarà lo stesso Letta a dover pronunciare quelle cinque parole che hanno fatto la storia: «Tu quoque, Dario, fili mi».