La proposta bipartisan da parte di un gruppo di intellettuali per arrivare a una riforma condivisa del premierato ha preso forma.

Si tratta di tre articoli, nei quali il presidente del Consiglio viene rinominato «primo ministro» e che puntano a rafforzarne il ruolo.

Il premier non sarebbe eletto direttamente dal popolo ma il suo nome sarebbe indicato sulla scheda elettorale e collegato all’elezione dei componenti delle Camere.

Rispetto al disegno della maggioranza, il premier avrebbe di fatto il potere di indicare e revocare i suoi ministri, sarebbe eletto in maniera differente rispetto a quella del resto del governo e, in caso di sfiducia, avrebbe la possibilità di decidere quale delle due strade indicare al capo dello Stato: se dimettersi, e quindi aprire la strada a un nuovo premier; oppure non farlo, avviando il percorso che porterebbe a elezioni anticipate.

Tesi spiegate dal già parlamentare Gaetano Quagliariello, uno dei membri del gruppo, il cui slogan è «il nostro premier è più forte del vostro». Nefanno parte, in ordine sparso, oltre allo stesso Quagliariello, anche Antonio Polito, Angelo Panebianco, Peppino Calderisi, gli ex senatori del centrosinistra Franco Debenedetti e Natale D’Amico, più un gruppo di professori di Diritto costituzionale, da Mario Esposito a Maurizio Griffo, fino al decano dei costituzionalisti italiani, Giuseppe de Vergottini.

L’obiettivo è quello di covincere, oltre alla maggioranza, anche una parte dell’opposizione, così da arrivare a un progetto condiviso. Una spinta in questo senso è arrivata dall’associazione LibertàEguale, che raccoglie le sensibilità più riformiste dell’area del Pd, dal deputato Stefano Ceccanti al vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Dario Parrini, e che era vicina all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Difficile, al momento, un’apertura da parte della maggioranza, anche se il presidente della “Affari costituzionali”, il meloniano Alberto Balboni, parla di «testo aperto a modifiche».