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Il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, interroga di nuovo il ministro della Giustizia Carlo Nordio sul caso Mario Landolfi. Chiedendo nuovamente di avviare l’azione disciplinare a carico dei magistrati che il 23 dicembre 2019 condannarono l’ex ministro, violando, secondo il forzista, le regole del processo.
Gasparri aveva già interpellato il Guardasigilli il 12 ottobre, evidenziando come «il tortuoso iter logico- argomentativo seguito dai giudici di primo grado per emettere la sentenza» nei confronti di Landolfi «abbia come fine esclusivo la preservazione della credibilità del collaboratore di giustizia, impegnato come teste anche in altri processi istruiti dalla procedente Dda, nonostante le vistose falle del suo narrato».
Per riassumere la stranezza del caso bisogna andare al 18 novembre 2019, giorno in cui era attesa la sentenza: dopo sei ore di camera di consiglio, infatti, i giudici chiesero di riascoltare il collaboratore di giustizia ex articolo 507, ascolto necessario per superare il ragionevole dubbio. «Ci siamo decisi a riascoltarla - affermò il presidente del collegio una settimana dopo - perché leggendo le sue dichiarazioni ci siamo accorti che c’erano più valutazioni conclusive che fatti puntualmente ripercorsi».
Ma una volta riascoltato il pentito - che pronunciò numerosi “non so” e “non ricordo” -, il collegio utilizzò dichiarazioni già in atti e provenienti da un altro processo, amputandole, evidenzia Gasparri, «della parte favorevole alla difesa all’evidente scopo di forzarne in senso colpevolista la valutazione probatoria».
Nordio, il 15 novembre scorso, ha respinto la prima richiesta di Gasparri, evidenziando come «tutte le argomentazioni illustrate nell’atto di sindacato ispettivo impingano nel merito delle valutazioni discrezionali dell’autorità giurisdizionale, che rappresentano espressione dell’esercizio della funzione giudiziaria e sono come tali intangibili da interferenze extraprocessuali». Risposta che non ha trovato d’accordo il forzista, pronto a dare battaglia per riscoperchiare il caso.
La nota ministeriale, scrive infatti il senatore, si sarebbe limitata «all’enunciazione di principi generali in realtà mai messi in discussione dall’interrogante», che aveva «espressamente segnalato l’accadimento di fatti inoppugnabilmente idonei ad adombrare in capo ai giudici (...) condotte colpose e/ o dolose, in ogni caso tali da configurare la violazione di legge, vale a dire la più grave tra le ipotesi contemplate dalla nota ministeriale».
Ovvero un esame testimoniale del pentito condotto «attraverso domande suggestive e, quindi, palesemente inidonee a testare la sincerità del teste», una «mistificazione operata» nel momento in cui si ometteva «di riferire nelle motivazioni le contraddittorie dichiarazioni rese ex articolo 507 cpp dal medesimo collaboratore di giustizia su una circostanza decisiva ai fini della valutazione della sua attendibilità per sostituirle con altre rese dal medesimo in diverso processo» ed epurate dalla parte favorevole a Landolfi, aggiunge Gasparri. Ma non solo: la sentenza conterrebbe anche «arbitrarie supposizioni per altro palesemente contrastanti con le evidenze processuali». Da qui il nuovo invito a far luce sulle responsabilità dei giudici, dunque, a 16 anni da quella sentenza che cambiò il corso della vita di Landolfi.