Di solito prendersela con i predecessori alimenta contemporaneamente un sospetto e una certezza. Il sospetto è che le cose vadano meno bene di quel che appare e che si mettano le mani avanti nell'eventualità di insuccessi. La certezza è che sicuramente finirà così. Magari Matteo Renzi non insegue né l'una né l'altra: ciò non toglie che la puntuta replica di Mario Monti all'accusa («Una ribollita») di aver, assieme ad Enrico Letta, disseminato di «trappole» il già di suo tortuoso sentiero del risanamento economico, non si è fatta attendere. L'ex premier bocconiano, infatti, dalle colonne del Corriere della Sera spruzzando abbondante sussiego spiega che non è segno di buona leadership offrire una rappresentazione parziale della realtà. Che se le banche italiane viaggiano sulle montange russe dei listini di Borsa non è certo per responsabilità degli esecutivi che hanno preceduto l'attuale i quali, anzi, hanno evitato ben peggiori guai. Che immaginare di usare soldi dei contribuenti per sanare gestioni disinvolte non è una grande idea. Che, infine, se ci si riferisce alle clausole di salvaguardia usate per impedire, ad esempio, l'aumento dell'Iva ebbene «su un totale di 16,8 miliardi di clausole di salvaguardia disinnescate nell'anno in corso, 3,3 miliardi erano stati inseriti dal governo Letta nella legge di Stabilità 2014. Il resto erano clausole inserite dal governo Renzi nel 2015». Dunque chi è causa del suo mal...Se ne riparlerà tra qualche settimana, quando palazzo Chigi dovrà mettere nero su bianco la legge di Stabilità. Diciamo che allo stato la polemica Renzi-Monti è messa lì a futura memoria, e certamente si arricchirà di nuovi capitoli.Il presidente del Consiglio sa che tra ottobre e novembre il vascello del governo avrà una navigazione assai perigliosa. E dunque nulla di strano se mette nel mirino gli avversari. Quelli strutturali, come gli scarsi margini finanziari per attivare politiche espansive. Quelli in carne e ossa, come i Cinquestelle. Qui i toni del premier sono più netti che in passsato. Se infatti pochi giorni or sono assicurava che non sarà il grillino Luigi Di Maio il suo successore a palazzo Chigi, stavolta Renzi gonfia le vele del pericolo Cinquestelle: «Penso che la gente debba comprendere quale instabilità seguirebbe in caso di bocciatura delle riforme», avverte il presidente del Consiglio. Che puntualizza: «Non è solo il fatto che permarrà un sistema di turnover nei governi molto rapido, ma anche per il rischio che, si guardi ai sondaggi, il Movimento Cinque Stelle possa guidare il Paese. La gente deve capire che cosa vuol dire votare no, e noi lo abbiamo imparato dal Regno Unito». Sia il riferimento al pericolo grillino sia quello alla Brexit fanno capire come al di là delle semplificazioni mediatiche il referendum resti il vero spartiacque della legislatura: un passaggio decisivo non solo per la definizione del rapporto di forze tra maggioranza ed opposizioni ma, ancora una volta, per il futuro politico stesso di Renzi. «Io uso un'espressione molto forte per il mio futuro dopo il referendum», ribadisce il capo del governo riandando all'avvertenza che se il Sì perde lascerà la poltrona di presidente del Consiglio. «Perdere il referendum e tornare il giorno dopo come se non fosse successo niente, non è corretto. Adesso la priorità è stabilire cosa sia questo referendum, che propone un modello diverso ed è per il futuro del Paese e sono sicuro che gli italiani, se la gente legge la domanda, voteranno per il cambiamento». Insomma «I will win, io vincerò. La nostra strategia nelle prossime settimane sarà centrata sul fatto che quello sulle riforme costituzionali non è il "referendum di Renzi", ma che questo è un referendum che il presidente del Consiglio intende vincere».Toni ed intendimenti assai asciutti, che ovviamente hanno riattizsato il fuoco della polemica sia con il centrodestra: «Un bel No e ci liberiamo definitivamente di Renzi», taglia corto Salvini; sia dei Cinquestelle: «Dopo aver personalizzato per mesi il referendum - reclamano all'unisono i deputati grillini nella Commissioni Affari costituzionali della Camera - invece di entrare nel merito della riforma costituzionale, dato che non può difendere l'indifendibile, il premier cerca di spaventare gli italiani continuando a mettere in atto una tattica ignobile per sostenere le ragioni del Sì. Come pure è da irresponsabili dire "dopo di noi il diluvio". Renzi, ormai sempre più in difficoltà, non può tentare di far credere agli italiani che nel caso vincesse il no al referendum costituzionale, ci sarebbero ripercussioni al livello economico».