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Si tratta del frutto algebricomatematico definito nelle sinapsi digitali della piattaforma Rousseau. Funziona così: io sto fisso in atteggiamento tolemaico sillabando senza soste, e diuturnamente, i miei precetti. Tutti gli altri si sbracciano per reclamare un po’ di attenzione: inutilmente. Alla fine, sfribrati ed esausti, saranno costretti a cedere. Attenzione: guai a pensare che l’inerzia sia sinonimo di staticità. Al contrario è il piano inclinato che inesorabilmente deve indirizzare Di Maio verso palazzo Chigi. Dopo aver fatto diventare il MoVimento la prima forza politica italiana, si conferma come l’infallibile bussola della marcia trionfale verso il potere.
L’algoritmo inerziale è l’evoluzione politica della parodia che Corrado Guzzanti faceva di Romano Prodi ( «Sto fermo, immobile...» ); il nuovo stadio del confronto tra leader, in attesa che Gaia si compia; la mutazione innovativa dell’utensile necessario per sventrare il Parlamento- tonno; lo strumento digitale che annulla lo spazio- tempo e trasforma la Durlindana di Orlando nella spada laser con la quale il candidato premier pentastellato sbaraglia gli avversari nella saga delle Fivestar Wars che gli italiani hanno la fortuna di vivere in diretta: un Truman show girato nel Palazzo.
Ironizziamo pure: però l’algoritmo inerziale funziona eccome. La cosa più sbagliata sarebbe considerarlo una forma della trattativa, opzione da tutti considerata obbligatoria in politica. Al contrario. L’algoritmo inerziale rappresenta il suo superamento in quanto, hegelianamente, la nega. Non c’è niente da trattare. Di Maio indica la strada e perimetra lo spazio d’azione. Traccia il sentiero che gli altri non devono far altro che percorrere. Se qualcuno insiste a portarsi qualcosa di bagaglio personale - un po’ di riduzione di tasse; un’oncia di job act; una frazione di garantismo giudiziario - faccia pure. E’ una cosa che il Capo Politico pentastellato, al momento, ai possibili compagni di strada concede: tanto i conti veri si faranno subito dopo l’atto del giuramento da premier al Quirinale.
L’algoritmo inerziale non significa banalmente sedere sulla riva del fiume aspettando che passi il cadavere dell’avversario. Intanto perché l’immagine è macabra e mal si adatta alla sagoma perennemente sorridente e incravattata che il leader vuole imprimere nella rétina degli italiani. E poi perché non c’è nessuno da attendere: la marcia è in corso da tempo, il traguardo è fissato, chi si affilia al massimo può fornire un supporto: e pazienza se al momento risulta inevitabile. Ma l’ineluttabile destino della superiorità di chi incarna il senso del rinnovamento non può subire flessioni. Tutt’al più qualche sosta, intesa però solo e unicamente come tappa di avanzamento.
L’algoritmo inerziale rappresenta lo stravolgimento del principale comandamento politico della Prima repubblica, quello in base al quale il partito di maggioranza relativa, proprio in quanto tale, si sentiva in dovere di ricercare le alleanze possibili, smussando gli angoli e favorendo le convergenze anche quando non erano aritmeticamente obbligatorie ai fini del raggiungimento della maggioranza parlamentare. Era il compito dei più forti, il limite autoimposto da chi sapeva vincere ma era consapevole del rischio di stravincere. Funzionò così nel 1948 con De Gasperi; funzionò così nella Dc degli anni d’oro: se non altro per condividere le responsabilità e gli impopolari oneri del comando.
Adesso funziona all’opposto. I più forti non si preoccupano di unificare: al contrario lavorano per distinguere. Innanzi tutto sè dagli altri, rilanciando l’idea che il mondo circostante sia popolato da personaggi poco raccomandabili, dannosi, che hanno operato per affossare nonché depredare il Paese: più distanza si mette da costoro, meglio è evitando pericolose contaminazioni. Poi si espelle dal perimetro del confronto chi la pensa diversamente: non servono, sono «i pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa» di togliattiana ( nonché sprezzantemente epurativa) memoria. Pazienza se tutto questo produce uno stallo che ha come unico possibile sbocco il ritorno alle urne: gli italiani che ancora non hanno capito avranno un’ulteriore opportunità per farlo. L’algoritmo inerziale lascia spazio solo per unioni temporanee; strumentali sinergie con occasionali compagni di percorso che in ogni caso non possono che aspirare a ruoli subalterni. Quando l’algoritmo fa mostra di sè, gli avversari sbraitano accusando chi lo sventola, cioè Di Maio, di voglie assolutistiche. Per niente: è che laddove c’è il MoVimento non c’è posto per altri. Forse non è molto democratico, però è decisamente smart. Come l’Italia che Di Maio ha detto di volere.