L’elezione dei presidenti di Camera e Senato doveva essere solo una formalità, dopo l’accordo raggiunto tra Movimento 5 Stelle e centrodestra: Montecitorio ai grillini, Palazzo Madama a Forza Italia. Invece, a 24 ore dall’inizio dei lavori in Aula, sembra si debba ricominciare da capo. A far saltare l’intesa - e i nervi di molti parlamentari pentastellati poco entusiasti del pragmatismo “dimaiano” - il nome del successore di Piero Grasso indicato da Berlusconi, Salvini e Meloni: Paolo Romani. «Per noi è invotabile», scrive Di Maio su Facebook, assecondando gli umori della vecchia guardia. Il Movimento - è il ragionamento del grillino - non può contribuire all’elezione di un esponente politico su cui pende una vecchia condanna per peculato. Ma a turbare la serenità del primo partito politico non è solo un nome, ma l’ostilità di molti al riconoscimento politico stesso di Silvio Berlusconi, che ha chiesto la presenza di Di Maio al tavolo delle trattative per imbrigliare il partito antisistema. E temendo l’azione di potenziali franchi tiratori, l’aspirante premier M5S ha deciso di rinviare a data da destinarsi l’assemblea degli eletti che avrebbe dovuto incoronare Roberto Fico come candidato ufficiale alla presidenza della Camera. «Nelle ultime ore notiamo che ci sono difficoltà nel percorso che porta all’individuazione dei Presidenti delle Camere. Il Pd si è rifiutato di partecipare al tavolo di concertazione proposto dal centrodestra, e lo stesso centrodestra continua a proporre la candidatura di Romani», scrive Di Maio. «Per questa ragione proponiamo un nuovo incontro tra i capigruppo di tutte le forze politiche per ristabilire un dialogo proficuo al fine di un corretto processo per l’individuazione delle figure di garanzia per le presidenze delle Camere».

Inutile chiedere informazioni a deputati e senatori: il gruppo parlamentare brancola nel buio in attesa di un nuovo segnale dal capo. Le decisioni vengono prese davanti ai caminetti e le comunicazioni avvengono a fatto compiuto. «So solo che mi è arrivata un’email in cui si dice che l’assemblea è stata rinviata, senza alcuna spiegazione ulteriore», racconta una deputata. «Stiamo cercando di capire anche noi», confessa sconfortato un senatore. «Certo, il gruppo è composto da tanti neo eletti del tutto sconosciuti ai vertici, difficile potersi fidare. Ma magari allargare le riunioni decisive alla vecchia guardia non sarebbe male», dice un altro al telefono. Gli unici a sapere qualcosa appartengono alla ristretta cerchia dei fidatissimi. Come Danilo Toninelli, il capo gruppo al Senato. «Il dialogo va avanti con tutti, per chi vuole il dialogo», dice quasi criptico con i cronisti a Montecitorio. Nel mirino di Toninelli c’è Forza Italia: «Se tu organizzi un tavolo e non dici come...», dice stizzito. «Adesso noi li chiamiamo e cerchiamo di ristabilire un contatto a livello dei gruppi perché dobbiamo eleggere i presidenti delle Camere».

La reazione del centrodestra è immediata. «Se c’è un tavolo fa riconvocare siamo pronti anche tra un quarto d’ora pur di risolvere la situazione velocemente», dice Matteo Salvini. «Siamo pronti a fare tutto, tavoli e tavolini. È chiaro che le nostre idee verranno portate a quel tavolo». Ma le trattative sono «azzerate», dice il leader del Carroccio, prima di ribadire che una delle due Aule spetta comunque alla coalizione più votata. Ma della partita questa volta potrebbe far parte anche il Pd che ieri ha aperto un timido spiraglio con Ettore Rosato. «Se si riparte da zero ci chiamino, andremo volentieri», spiega l’esponente dem. «Ma se hanno già deciso che una presidenza va al M5S e una al centrodestra che ci chiamano a fare? Se non è più così, Di Maio ce lo dica: non possono mica dare la colpa a noi se non riescono a mettersi d’accordo...».

La nuova riunione tra i capigruppo viene fissata in serata, alle 20. Difficile immaginare che in quel contesto possano emergere nuovi equilibri. Le carte cominceranno a scoprirsi oggi. Con i primi voti in Aula.