All'odg del Consiglio europeo c'è praticamente un'agenda onnicomprensiva, brevi cenni sullo stato del mondo: Ucraina, Economia, Sicurezza e Difesa, Immigrazione, Cina, Relazioni internazionali per fermarsi solo ai grandi titoli, ciascuno dei quali genera a propria volta una quantità di temi specifici. Senza contare le questioni che odg o non odg finiranno certamente per essere discusse più o meno ufficialmente, come l'eterno tormentone della riforma del Mes bloccata da Roma.

Ma oggi, per Giorgia Meloni, il punto chiave è l'immigrazione anche se il punto chiave, il paragrafo dedicato alla Tunisia, fa parte del capitolo sulle Relazioni estere. È una sottigliezza che l'Italia considera un successo diplomatico perché in questo modo il caso della Tunisia, e in generale del Nord Africa, rientra nella strategia definita da Meloni «Piano Mattei», il partenariato «non predatorio» con l'Africa. Il capitolo Tunisia resta tuttavia parzialmente collegato a quello, altrettanto centrale per l'Italia, sui rimpatri degli irregolari. Nel corso delle tempestose comunicazioni alle Camere di mercoledì scorso, la premier si è particolarmente inalberata quando la sua missione in Tunisia delle settimane scorse è stata bollata come un fallimento: «Saied le ha sbattuto le porte in faccia». Si trattava certo di una forzatura ma se non si può ancora parlare di fallimento neppure c'è traccia di successo e per l'Italia, come per la Francia, si tratta di un'emergenza assoluta: il default della Tunisia riempirebbe le coste italiane di migranti, secondo il governo si dovrebbero prevedere circa 900 mila arrivi, e subito dopo la pressione sulle frontiere, in particolare quelle con la Francia, si moltiplicherebbe esponenzialmente.

Per salvare la Tunisia servono almeno 5 miliardi. Ci sarebbero se il Fondo monetario internazionale, cioè Washington, sbloccasse la sua tranche di 1,9 miliardi. Solo in quel caso alcuni Paesi arabi, soprattutto gli Emirati, fornirebbero altri 2 miliardi. Nel corso della missione a Tunisi di Giorgia Meloni, del premier olandese Rutte e della presidente della Commissione europea von der Leyen era stato raggiunto un protocollo d'intesa tra Europa e Tunisia che doveva essere formalizzato due giorni fa. In extremis la firma è stata rinviata al 3 luglio. Alcuni Paesi, in particolare la Germania, non sono convinti e per Meloni è una pessima notizia.

Il protocollo prevedeva l'invio immediato di una prima tranche di 150 milioni di Euro con l'impegno di arrivare a 900 milioni una volta raggiunto l'accordo con il Fondo monetario internazionale. L'intenzione di Meloni sarebbe quella di arrivare a Washington, in data ancora da destinarsi ma probabilmente intorno alla metà di luglio, con quel primo accordo già in tasca, da usare come leva per convincere Biden a dare il via libera al prestito del Fmi.

La Germania, e non solo lei, punta però i piedi chiedendo che sia garantito il rispetto dei diritti umani dei migranti ma soprattutto l'accoglimento delle richieste draconiane del Fondo: ristrutturazione di tutto il settore pubblico, traduzione licenziamenti a valanga, e taglio delle sovvenzioni per pane e carburante, quelle che permettono ai tunisini di sopravvivere sia pure in condizioni ormai di estrema povertà.

La Germania insiste anche per una politica dei rimpatri in realtà molto simile a quella chiesta dall'Italia e sulla quale il vertice dei ministri degli Interni Ue dell'8 giugno scorso aveva raggiunto una faticosissima intesa: la possibilità di rimandare i clandestini non solo nei Paesi d'origine ma anche in quelli di transito, purché «sicuri». Il problema è che a decidere quali Paesi siano da considerarsi sicuri, un po' “per decreto”, dovrebbero essere i singoli Stati. La Libia, nonostante stupri torture e internamenti nei lager siano all'ordine del giorno, si trasformerebbe così per magia in “Paese sicuro”. In campo ci sono anche tentazioni ancora più drastiche: il modello adottato dall'Uk di Sunak, che prevede il rimpatrio in Rwanda di tutti i clandestini.

I passi avanti che sin qui l'Italia può vantare sul fronte dell'immigrazione sono puramente teorici. È vero che Meloni è riuscita a ottenere numerose dichiarazioni che confermano la sua tesi per cui la difesa dei “confini esterni” è problema che investe l'intera Unione e non i singoli Paesi ma si tratta sin qui solo di parole. Un successo nel dipanare il nodo della crisi tunisina la proietterebbe di colpo al centro dello scenario europeo, oltre a rappresentare la sua prima vera vittoria fuori dai confini nazionali. Si può capire perché non c'è Mes che tenga: nell'estate 2023 la partita di Giorgia si gioca al tavolo di Tunisi.