Direzione del Pd riprogrammata, dopo Brexit, per lunedì 4 luglio. Ma, per quanto riguarda la minoranza anti-renziana non dovrebbe essere lo stesso sulle note di “Luglio con il bene che ti voglio…”. L’opposizione interna, almeno quella bersaniana maggioritaria, capeggiata da Roberto Speranza, con Il Dubbio si conferma pronta a ribadire che se sulle politiche sociali non ci sarà quel «cambiamento di rotta» richiesto, è pronta al pollice verso sulle fiducie al governo. C’è un solo però. E cioè che alla fine quella “mucca” o “toro” che, secondo Pier Luigi Bersani, il Pd non avrebbe «visto in corridoio», dopo la valanga grillina su Roma e Torino, alla fine si è rivelata la Brexit. Cosa che, stando ai fatti, ha non c’è dubbio rafforzato Matteo Renzi sulla scena europea, chiamato di fatto a sostituire nel rapporto con l’asse franco-tedesco il Regno Unito. Ma non perché l’Italia debba essere un sostituto, una sorta di improvvisata terza gamba. Semplicemente perché l’Italia è l’Italia e deve «tornare a fare la parte che le è propria», anche a detta di membri di Forza Italia, a cominciare dal vicepresidente per il Ppe del Parlamento europeo Antonio Tajani. E lo stesso, pur sempre molto critico con Renzi, presidente dei deputati azzurri, Renato Brunetta. Fa notare a Il Dubbio Nico Stumpo, ex uomo macchina della segreteria Bersani: «In questo dobbiamo essere uniti. Se Renzi dice cose giuste del tipo: ci vuole un’Europa sociale e dei valori, certo che stiamo con lui. Io non sono mica quello che per far dispetto alla moglie si taglia i cosiddetti! Vengo dalla scuola del Pci».Ma Stumpo aggiunge che non non si può negare la sconfitta di Roma, Torino e Napoli. Osserva: «Non è che se torna il sole, per dire, ci scordiamo del temporale». Quindi: «Io tornerò a chiedere le dimissioni di chi ha guidato il Pd portandolo di fatto alle sconfitte più clamorose a cominciare da Roma». Dunque, pollice verso con richiesta di dimissioni da commissario dem a Roma di Matteo Orfini, che però è anche presidente nazionale del Pd (richiesta con alto valore simbolico), e non solo. Cosa che potrebbe accomunare la minoranza dem all’Area dem del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. La cui moglie (dirigente Pd a Roma ancor prima del matrimonio) Michaela De Biase, record-woman di preferenze nella Capitale e per questo candidata a fare il capogruppo Pd in Campidoglio, ha già fatto notare che Orfini «non può indire un congresso del Pd a Roma, rinnovando il vecchio tesseramento, come se nulla fosse accaduto».Cosa che avrebbe alimentato i sospetti da parte del Giornale che Franceschini voglia candidarsi alla segreteria del Pd al posto di Renzi, forte del fatto che la minoranza al prossimo congresso gli chiederà di separare gli incarichi, optando quindi solo per il “remain” a Palazzo Chigi. Ma fonti di rango dell’ex segretario del Pd Franceschini a Il Dubbio spiegano: «Tutto è nato dal fatto che sere fa l’ex sindaco di Torino Piero Fassino ha chiesto di incontrarci a cena, ma solo perché siamo amici e poi Piero che ha dato l’anima si voleva soprattutto sfogare e rimarcare che ha perso anche perché Renzi ha troppo caratterizzato politicamente il referendum. C’erano oltre a Dario, la vicepresidente della Camera Marina Sereni, il capogruppo del Pd a Montecitorio Ettore Rosato. Gente seria e responsabile, che lavora ogni giorno pancia a terra per Renzi, ce la vedete voi ora sulle barricate? ».Intanto però, altri personaggi di spicco del Pd, che un giorno potrebbero concorrere per la sostituzione a Renzi, come il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, catalogato all’origine come veltroniano, sembra stiano tentando di rimarcare la propria area di influenza. Zingaretti ha dato vita a un blog su Huffingtonpost dal titolo «Salviamo l’Europa». Orfini ha già detto a chiare lettere in una intervista a Repubblica che non si dimetterà e resterà fino alla fine del mandato. E Goffredo Bettini, king maker di tutti i sindaci di sinistra di Roma fino a Ignazio Marino, sarebbe, secondo la versione un po’ ironica della minoranza dem, pronto a tornare lunedì in direzione per ribadire che «stavolta si è perso solo perché non c’era più lui a fare da regista». I veleni si sprecano. Ma ora Renzi a suo vantaggio ha «the big Brexit» contro solita “piccola Beirut” Pd. Che però segnala un problema di non poco conto: il ruolo della sinistra anche in Italia.