Se lo scopo del primo congresso di Azione, nel bene e nel male, era quello di porsi al centro del dibattito politico, l’obiettivo è stato pienamente raggiunto. Il secco “no” del neo segretario Carlo Calenda a qualsiasi ipotesi di alleanza con gli «opposti estremismi», cioè Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle, sta facendo discutere a destra e a sinistra, da punti di vista diversi. Nel primo caso, oggetto della polemica è l’appoggio di Calenda alla ricandidatura del sindaco di Genova, Marco Bucci, che è sostenuto anche da Fratelli d’Italia. O meglio, il partito di Giorgia Meloni è un suo stretto alleato, tanto che il vicesindaco al momento dell’elezione, Stefano Ballerai, e il vice sindaco attuale, il professor Massimo Nicolò, sono entrambi esponenti di Fd’I.

A farlo notare è stato Francesco Lollobrigida, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, che ha giudicato «anomala» la scelta di Calenda. «Dopo aver annunciato che non considera Fd’I come un interlocutore, e nonostante non sia ancora chiaro chi glielo abbia chiesto, non possiamo non notare l’anomalia della sua scelta - ha detto Lollobrigida - Informiamo Calenda che i risultati di Bucci sono indubbiamente frutto del suo lavoro, ma anche del leale, costante e determinante supporto della sua coalizione, della quale Fratelli d’Italia è e sarà ancora di più parte integrante».

La risposta di Calenda non si è fatta attendere: conferma del sostegno a Bucci ma no al simbolo di Azione vicino a quello di Fd’I, quindi probabile la creazione di una lista civica. «Stimo molto Meloni ma non c’è dialogo - ha chiosato l’ex ministro dello Sviluppo economico - non condivido le sue idee». Ma è dalla parte opposta dello schieramento che il congresso di Azione ha scatenato il dibattito più acceso.

D’altronde, che Calenda consideri il Movimento 5 Stelle un partito «da cancellare» non è notizia di oggi, ma che ora il neosegretario miri ad allontanare dal Pd quegli elettori che faticano a digerire l’alleanza con i grillini, provoca più di un malumore al Nazareno. Tanto che il segretario, Enrico Letta, presente al congresso di Azione, nella direzione del partito di ieri pomeriggio ha ribadito che il rapporto politico tra dem e pentastellati «dura e durerà», perché si poggia su un «cemento forte» solidificatosi affrontando «la dura prova della pandemia».

Il tentativo di Calenda di sparigliare le carte nell’alleanza del campo largo progressista ha provocato anche la risposta dell’ala più a sinistra dello schieramento. «Ma il Carlo Calenda che appoggia il sindaco di destra a Genova è lo stesso Calenda Carlo che dal palco del congresso di Azione pretendeva di disegnare la prossima coalizione di centro- sinistra a sua immagine e somiglianza?», si è chiesto Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. Che poi ha concluso: «a questo punto sarà chiaro a Letta che del centrosinistra e di un’alternativa progressista, a Calenda, “non gliene po’ fregà de meno”».

Eppure c’è una parte di Pd che nemmeno troppo velatamente a Calenda guarda eccome, con l’obiettivo di spostare l’alleanza progressista più verso il riformismo del liberal democratico Carlo rispetto al populismo del pentastellato Giuseppe. Nei gruppi parlamentari dem la truppa che guarda con favore al campo largo è più consistente di quel che sembra, e va dagli esponenti di Base riformista agli ex renziani che non se la sono sentita di seguire il sogno ( per ora molto chimera) di Italia viva ma restano ancora affascinati dal vecchio leader.

In mezzo, i giovani turchi di Matteo Orfini. «Posto che io sono favorevole a un all’alleanza con Azione, penso che Calenda farebbe bene a riflettere sul fatto che a Genova si sta alleando con la Meloni - spiega al Dubbio Fausto Raciti, deputato dem - Quindi cercherei di avere una posizione meno rigida e presuntuosa della sua: detto questo, sono dell’idea che il problema si risolve prendendo di petto il tema della legge elettorale, quindi tornando al proporzionale e smettendo di ragionare di fronti che vorremmo ma non riusciamo a costruire perché proviamo a tenere insieme elementi che si contraddicono tra loro».

Anche perché riuscire a far sedere allo stesso tavolo Letta, Conte e Calenda, al momento è praticamente impossibile. Basti vedere alla reazione di Gianluca Ferrara, vice presidente del gruppo M5S al Senato. «Calenda ha un partitino in provetta (ossia con più finanziatori che elettori) e con arroganza pone veti ad alleanze elettorali - ha scritto Ferrara sui social Calenda rilassati, dove ci sarai tu non ci saremo noi».