Mentre i “moderati” annaspano tra i sogni automisti di alcuni ministri forzisti, le ambizioni di Carlo Calenda e le distrazioni di Matteo Renzi, centrodestra e centrosinistra provano a organizzare il campo - e le idee - in vista di una contrapposizione che verrà. Impresa più semplice a dirsi che a farsi, visto che i due poli non sembrano godere di ottima salute in questo momento.

Di certo, la crisi più nera la attraversa il centrodestra, lacerato tra tre anime al momento apparentemente incompatibili. Giorgia Meloni si “oppone” a un governo sostenuto con convinzione da Forza Italia, che a sua volta convive in maggioranza con un alleato, la Lega, indeciso tra la testa nel Palazzo e la pancia nella piazza. Ma non è questo il problema maggiore di un’alleanza che già in passato ha visto le tre gambe procedere in direzioni diverse rispetto alla strada di Palazzo Chigi.

È successo nel 2011 col governo Monti, sostenuto dal defenestrato Silvio Berlusconi ma non da Umberto Bossi, né da Giorgia Meloni e Ignazio La Russa che uscirono dal Pdl collocandosi in minoranza. Ed è accaduto anche di recente, nel 2018, quando la coalizione si divise dopo il voto per consentire a Matteo Salvini di dar vita al Conte uno. La storia del centrodestra è dunque costellata di separazioni strategiche o momentanee, ma mai come adesso l’alleanza sembra aver perso la bussola.

A differenza del centrosinistra, che ha cambiato connotati dai tempi dell’Ulivo assorbendo tra mille difficoltà il Movimento 5 Stelle, il vecchio Polo delle Libertà non ha mai variato squadra dalla sua nascita. Certo, qualche partito avrà modificato nome e ragione sociale nel frattempo, ma lo schema è rimasto invariato nonostante le condizioni di gioco totalmente diverse. L’uscita di scena della corazzata azzurra, diventata la terza forza dell’alleanza ormai lontana dalla doppia cifra, ha infatti creato scompensi profondi. Il capo moderato, il federatore visionario capace di mettere un tempo insieme nazionalisti e secessionisti, ha dovuto cedere il passo a gente come Salvini, leader dal consenso straripante quanto volatile, e assistere allo sbandamento sovranista della sua creatura. Una sterzata imposta dall’ascesa folgorante della Lega, avvenuta soprattutto in epoca pre Covid a suo di “porti chiusi”, e dalla contemporanea cavalcata verso il primo gradino del podio di Fratelli d’Italia, unico partito all’opposizione dell’intero arco parlamentare.

Così, al posto dell’alchimista capace di mettere insieme gli opposti, il vecchio Polo si è ritrovato conteso da due leader parecchio simili (nel messaggio e nelle urne) e pericolosamente sbilanciati a destra. Una condanna per Berlusconi, convinto che l’andazzo sovranista terrà a lungo la coalizione lontano da Palazzo Chigi. Inutili i tentativi del Cav di “normalizzare” il Carroccio - col sostegno dell’ala giorgettiana - dirottandolo verso i lidi tranquilli del Ppe. Di rassicurare le cancellerie europee, lasciando però a Meloni la libertà di surfare sulle onde populiste, Salvini non ne vuol sapere. Da qui lo scetticismo ostentato nei confronti dell’esecutivo di cui la Lega è pilastro e l’ostinazione a cercare sponde in Europa con i vari Orban e Morawiecki con l’obiettivo di creare un nuova aggregazione conservatrice a Bruxelles fuori dall’orbita del Ppe, una sorta di gemello- competitor del Gruppo guidato a livello continentale proprio da Giorgia Meloni.

Ma il prodotto di questi movimenti, al momento, è il caos del centrodestra - certificato dal flop alle ultime Amministrative - spaccato persino all’interno dei singoli partiti, con Lega e Forza Italia abitate ormai da coinquilini particolarmente litigiosi e nervosi. Compattarsi momentaneamente per provare spingere il Cavaliere nella faticosa corsa al Quirinale non basterà a rimuovere le ragioni del caos. Forse per la vecchia Casa delle Libertà è giunto il momento di cambiare schema, di consentire la nascita di nuovi contenitori capaci di restituire equilibrio a un’alleanza ormai sbilenca. Favorendo, se necessario, eventuali scossoni che possano contribuire a fare chiarezza e ridare credibilità a un’area attualmente condannata alla marginalità.