Quasi per caso, sull'onda di un incidente imprevisto come il caso di Alfredo Cospito e tutto quel che ne è seguito, Giorgia Meloni ha indirizzato la destra italiana lungo un percorso identitario preciso tra i tanti che erano rimasti tutti virtualmente aperti nella lunga e confusa era del regno di Silvio Berlusconi. Così facendo e forse senza averlo neppure preventivato, ha finito per privilegiare uno dei due alleati a scapito dell'altro. La premier si è esposta per mantenere Alfredo Cospito in regime di art. 41 bis e in difesa dei più scalmanati e meno istituzionali tra i suoi pupilli, con ciò abdicando a ogni velleità liberale e mettendo in fortissimo dubbio la possibilità di varare una riforma della giustizia come la vorrebbe Forza Italia. Nella stessa giornata ha fatto un passo deciso e forse decisivo sulla strada dell'autonomia differenziata reclamata dalla Lega. Si tratta senza dubbio di una coincidenza però eloquente e non effimera.

Per mettere a fuoco il bivio della destra bisogna fare un passo indietro e tornare ai decenni di Berlusconi, nei quali convivevano, magari solo come suggestioni, identità della destra diverse tra loro e spesso incompatibili: la destra garantista e in guerra con la magistratura, quella rigida e repressiva guidata dalla stella polare “law and order”, la destra federalista a volte ai limiti del secessionismo e quella centralista, le prevalenti pulsioni reazionarie e neoconfessionali accompagnate da mai del tutto sopite spinte quasi libertarie, i conati populisti da destra sociale e l'impronta neoliberista. La magia del Cavaliere, al quale interessavano soprattutto i propri interessi economici e legali, non è stata solo tenere insieme partiti e partitini diversi ma soprattutto far convivere culture politiche differenti quando non opposte.

Era evidente che quell'equivoco non potesse proseguire senza la leadership di Berlusconi a fare da ombrello. C'erano già stati segnali precisi di quale indirizzo avrebbe scelto la premier. Il caso Cospito le ha forzato la mano costringendola a uscire subito e definitivamente allo scoperto. Sul fronte della giustizia il ministro Nordio appare quasi defilato: sulla richiesta di sospendere il 41 bis per Cospito ha quasi smentito le posizioni tenute per anni. A gestire una fase delicatissima sono state le figure più sguaiate e meno istituzionali di FdI, alle quali la premier ha offerto pienissima copertura sempre che, come sostengono alcune voci, non sia stata proprio lei a indirizzarle. I rapporti con l'opposizione sono precipitati al livello

più basso degli ultimi anni e non sarà possibile ricucire uno strappo che va molto oltre il dissenso politico anche radicale e rende impossibile anche quel livello di fiducia e rispetto reciproco che, dietro le sceneggiate da talk show, avevano quasi sempre retto, anche in momenti molto difficili. È probabile che Giorgia Meloni, anche ove avesse davvero chiesto di criticare il Pd per quella che riteneva essere una insufficiente solidarietà espressa dopo gli attentati anarchici, non intendesse arrivare a questo punto. Però una volta che ci si è trovata ha scelto di blindare e rivendicare. È possibile che abbia ragione chi sostiene che dietro il suo prolungato silenzio sul caso Delmastro-Donzelli ci sia una profonda irritazione. Di fatto però la campagna puramente calunniosa portata avanti non dagli esponenti tricolori a lei più vicini prosegue, ed è impensabile che ciò avvenga dopo una richiesta di maggior moderazione da parte della leader che evidentemente non c'è stata.

Certamente alla presidente non piace l'idea di un'autonomia portata troppo vicino al suo livello estremo e non c'è dubbio che punti a stemperare il progetto di Calderoli. Ma si è rassegnata a siglare un passo molto importante a favore della Lega, la cui cultura in materia di “legge e ordine” è identica alla sua, molto più di quanto non abbia fatto sul fronte della giustizia e delle promesse garantiste. In un certo senso la vicenda Cospito segna dunque la fine di un equivoco: quello di una destra attenta ai diritti e alle garanzie, ormai lontana dagli umori da caserma di un tempo. Se mai quella destra “diversa” è esistita, non è quella di Giorgia Meloni.