Giorgia Meloni ha di fronte due problemi, due scogli se non proprio imprevisti di certo sottovalutati. Il vero rischio che il suo governo corre, nei prossimi mesi, è di essere travolto da queste due correnti intrecciate: l'ondata di rincari, che può minare il consenso popolare e incrinare la compattezza della maggioranza, e l'autonomia differenziata che è una spina politica nel fianco della maggioranza che rischia però a propria volta di trasmigrare sul terreno del consenso con effetti potenzialmente devastanti almeno al Sud.

Nei giorni scorsi l'intera opposizione, per la prima volta, ha denunciato la forzatura rappresentata dalla legge quadro presentata il primo gennaio dal ministro delle Regioni Calderoli. Che si tratti di una forzatura è certo: non tanto nei confronti dell'opposizione però quanto in quelli della maggioranza e del governo. Secondo la tabella di marcia di Calderoli il governo dovrebbe approvare subito il suo testo e presentarlo come proposta di legge, di fatto non emendabile, entro la fine del mese. La proposta dà un anno di tempo per definire i Lep, i Livelli essenziali di prestazione, ma secondo lo Svimez le possibilità di farcela sono esigue. Scaduto il termine, ogni Regione richiedente contratterà i propri margini di autonomia sulla base della spesa storica, criterio che finirebbe per cristallizzare la macroscopiche differenze già esistenti tra aree ricche e povere del Paese e anzi le peggiorerebbe. La stessa definizione dei Lep, grazie a un emendamento inserito in extremis nella legge di bilancio, non spetta più allo Stato e alle Regioni ma a una segreteria tecnica di 12 componenti in forza al ministero delle Regioni.

L'autonomia differenziata è il prezzo che Giorgia Meloni deve pagare in cambio del sostegno della Lega al presidenzialismo. I margini di mediazione col Carroccio sono molto esigui perché qui a decidere non è il solo Salvini ma i potentissimi governatori del Nord, e nessuno negli ultimi mesi ha esercitato pressioni maggiori di Luca Zaia. Il problema è che, messe le cose come Calderoli ha fatto, varare questo modello di autonomia significherebbe mettersi contro tutti. Non solo contro i governatori Pd del Sud, che già guidano la rivolta, ma anche contro Bonaccini, già favorevole all'autonomia differenziata ma che si è radicalmente spostato perché solo così poteva ottenere l'appoggio di Michele Emiliano e Vincenzo De Luca per la corsa alla segreteria. Contro i governatori di destra del Sud. Contro buona parte della stessa base Fratelli d’Italia e contro la stessa Forza Italia. Contro gli elettori del Sud. Anche e forse soprattutto contro il Colle, che su questo punto ha messo il solo paletto davvero rigido nel discorso di fine anno. Il silenzio di Giorgia Meloni, ormai imbarazzante a quasi una settimana dalla presentazione della legge quadro, rivela quanto la premier sia consapevole di questa difficoltà estrema.

La forzatura peraltro è doppia. Per la premier presidenzialismo e autonomia devono procedere di pari passo. Ma il cammino di una riforma costituzionale è giocoforza lungo e nel corso del tempo i rapporti di forza all'interno della maggioranza possono ulteriormente cambiare a sfavore della Lega. Né si può del tutto escludere la possibilità che un eventuale dialogo sul presidenzialismo con l'opposizione, in particolare con il Pd, sottragga alla Lega una parte consistente del suo potere di condizionamento. Dunque Calderoli ha scelto di accelerare, cercando di ottenere subito l'autonomia o almeno di costringere la premier a bruciarsi subito i ponti alle spalle. È un passo che l'inquilina di palazzo Chigi esiterebbe comunque a fare ma a maggior ragione in un momento in cui il consenso popolare di cui gode, pur al momento fortissimo, rischia di traballare sotto i colpi di maglio dei rincari.

L'autonomia differenziata insomma è un labirinto dal quale il governo non uscirà facendo finta di niente e tacendo, proprio come a nulla servirà continuare a tenere la bocca cucita sui rincari. Per Giorgia il momento di dimostrare quanto vale come premier alle prese con una situazione difficile è arrivato.