I ministri, pare, hanno applaudito. L'autonomia differenziata, fiore all'occhiello della Lega, è partita ed è partita in tempo per poter essere sbandierata da Salvini nel rush finale prima del voto in Lombardia. La premier avrebbe preferito procedere con meno fretta, anche perché in fondo è in diretta competizione con una Lega che in Lombardia ha già superato.

Niente da fare: su questo fronte Salvini è stato granitico e l'autonomia in fondo era sin dall'inizio il prezzo della Lega.

Giorgia ha cercato di mettere qualche paletto. La spesa storica, che avrebbe cristallizzato le macroscopiche divisioni che già affliggono l'Italia e penalizzano il Sud, sembrano uscite di scena. I Lep, livelli essenziali di prestazione, saranno definiti a un anno dall'ultima legge di bilancio tramite dpcm: la premier stessa, dunque, avrà l'ultima e insindacabili parola. Il Parlamento, che nella bozza originaria presentata dal ministro Calderoli era di fatto tagliato fuori, recupera almeno un certo ruolo: l'atto di indirizzo dovrà essere votato del Parlamento.

Il percorso per l'ottenimento dell'autonomia è lungo, non meno di cinque mesi, un po' farraginoso e prevede una serie di passaggi, l'ultimo dei quali è il voto a maggioranza assoluta del Parlamento. Infine, almeno sulla carta, sono previsti interventi perequativi, per ora non meglio identificati, che dovrebbero impedire quella divisione del Paese in «un'Italia di serie a e una di serie b» che la presidente ha giurato di impedire.

Bastano i ritocchi imposti da palazzo Chigi per evitare il rischio che invece quella divisione si produca? Probabilmente no perché a monte c'è una scelta che è politica e fa agio sui marchingegni tecnici, persino se studiati con le migliori intenzioni. Su quel piano la Lega la ha spuntata oggi e non è affatto certo che la dinamica non si ripeta domani.

Le Regioni del Nord che spingono per l'autonomia differenziata, nonostante i proclami opposti di Zaia, Fontana e Toti, non sono spinte da alte idealità ma dal loro terragno interesse. L'Emilia di Bonaccini si è sfilata, perché in caso contrario il suo governatore, il primo a chiedere l'autonomia, avrebbe perso ogni chance di conquistare la segreteria ma è probabile che la struttura di potere di quella Regione sia molto meno ostile di quanto non assicuri oggi il governatore ex autonomista. Dunque esiste una dinamica oggettiva che arriva sulla soglia dell'autonomia fiscale, che sarebbe il passo finale, ma in qualche misura la prevede e crea le condizioni perché s'imponga in un prossimo e non lontano futuro.

Frenare quella tendenza richiederebbe una salda volontà politica. Di certo a FdI e Fi l'idea di inimicarsi il sud non piace affatto: non a caso hanno provato a frenare e ci proveranno ancora. Ma la Lega ha carte molto pesanti da giocare, ne è consapevole ed è pronta a calarle sul tavolo se necessario. Non si tratta solo della possibilità di ricattare la premier minacciando la crisi di governo: quell'arma c'è ma è parzialmente spuntata. La Lega, a differenza di Fi, non ha a disposizione altre sponde e non può permettersi di essere scalzata dalle amministrazioni locali del nord. Ma i voti del Carroccio sono necessari anche per varare le riforme alle quali mirano gli alleati: sono imprescindibili per il presidenzialismo caro a FdI come per la riforma della giustizia a cui mira Fi. La moneta di scambio sarà un'autonomia magari non estrema ma neppure all'acqua di rose, con tanto di inevitabile spaccatura del Paese.

Un margine di incertezza, anche sul fronte che più conta, quello dei rapporti di forza politici, però resta. I sindacati promettono mobilitazione strenua. I 5S cercheranno di cogliere l'occasione per egemonizzare il Sud. Il Pd, sferzato dai governatori del Meridione, sarà costretto a competere con il partito di Conte sul piano di un'opposizione strenua.

Se nei prossimi mesi la leader di FdI vedesse profilarsi un crollo nel Sud e nel Centro, anche nella roccaforte del Lazio, potrebbe decidere di puntare i piedi davvero sfidando il ricatto a tutto campo del Carroccio.