Una dichiarazione alla volta, un richiamo al buon senso e alla forza della diplomazia alla volta, Antonio Tajani senza dare nell'occhio sta costruendo, mattoncino su mattoncino, le basi di una candidatura sullo scranno più alto dell'Unione che ora sempre più addetti ai lavori stanno prendendo seriamente. A dire la verità, la voce non circola da oggi, perché il nome del nostro ministro degli Esteri ed ex- presidente dell'Europarlamento è già stato inserito nell'ampio lotto dei papabili per la leadership della Commissione. Dal figurare nei giochini a base di toto- leader ( che spesso animano le colonne dei quotidiani coinvolgendo nomi spesso improbabili) a diventare un nome autorevole, tanto da restare “coperto” fino all'ultimo per non essere bruciato ce ne passa, e molti segnali indicano che il leader di Forza Italia sta corroborando la propria candidatura. Per comprenderlo, si possono unire i puntini e tracciare un percorso che parte dal congresso del Ppe di Bucarest che ha rinnovato senza entusiasmo la fiducia a Ursula von der Leyen e arriva alle ultime iniziative diplomatiche della Farnesina sulla questione degli espropri da parte di Mosca delle aziende straniere che operano sul suolo russo.

Capitolo Ppe, qualche settimana fa il congresso del partito ha formalmente ricandidato von der Leyen alla guida dell'Ue, ma il modo in cui ciò è avvenuto, nella sostanza, vale molto di più degli atti ufficiali: la presidente uscente ha ottenuto un numero di voti sensibilmente inferiore a quello dei delegati che avrebbero dovuto votarla e, cosa ancor più grave, è stata apertamente contestata dalla delegazione francese e dall'” ala destra”. I delegati italiani si sono mostrati leali a parole, ma proprio in quell'occasione Tajani e i suoi hanno iniziato a lavorare in funzione di uno scenario che, verosimilmente, dopo il 9 giugno offrirà un Parlamento continentale spostato a destra. In questo quadro Ursula von der Leyen, che ha incarnato la Grande Coalizione europea tra Socialisti e Popolari, non sarebbe di certo la persona giusta per negoziare un cambio di indirizzo politico. Pochi esponenti del Ppe contestano il fatto che un profilo come Tajani, che da decenni è protagonista del laboratorio politico del centrodestra italiano, sarebbe uno dei profili più adeguati per proiettare su Bruxelles un tentativo di centrodestra europeo, composto dai Popolari, dai Conservatori dell'Ecr guidato da Giorgia Meloni e dalle destre sovraniste edulcorate dagli impresentabili come ad esempio i tedeschi di AfD. Poi ci sono le dichiarazioni tiepide rilasciate da Tajani rispetto all'ipotesi di Mario Draghi presidente della Commissione ( anche perché caldeggiato dal presidente francese Emmanuel Macron) e, per completare il quadro, la guerra intestina al popolarismo tedesco che sta facendo emergere con sempre più forza l'ostilità del segretario del Ppe Manfred Weber per von der Leyen. Sulla quale, giova ricordarlo, pende l'inchiesta relativa alle forniture di vaccini Pfizer durante la pandemia e un'indagine interna dell'Europarlamento sulla decisione di sbloccare 10 miliardi di fondi di coesione per l'Ungheria di Viktor Orban, senza aver ottenuto le garanzie richieste in termini di diritti civili.

Qualcuno si era anche preso la briga di trovare uno “scivolo” per la presidente della Commissione, facendo filtrare l'ipotesi della successione a Stoltenberg alla guida della Nato, ma poi la cosa è tramontata. Da parte sua, consapevole che ogni ragionamento è arduo senza aver sul tavolo i risultati delle elezioni, Tajani insiste nella sua linea improntata all'equilibrio e alla responsabilità: le ultime uscite in chiave anti- Macron sul conflitto ucraino e sulla tutela delle imprese europee dagli espropri di Mosca sono perfettamente compatibili con le piattaforme delle forze sovraniste più importanti a livello europeo, a partire dalla Lega di Salvini. Il quale giovedì ha usato i consueti toni aspri nei confronti del presidente francese, affermando che «nessun soldato italiano morirà per Macron», e al quale con parole più pacate ha sostanzialmente fatto eco il ministro degli Esteri, sottolineando che «noi non siamo in guerra con la Russia e quindi non manderemo soldati italiani a combattere in Ucraina».