Un Tajani insolitamente ruggente prova a chiudere i giochi: «Per noi è impossibile qualsiasi accordo con Afd o con il partito della signora Le Pen». Una Meloni insolitamente sfuggente sguscia: butta giù parole alla rinfusa sulla «fase molto interessante», evita di prendere posizione. Una Lega come al solito ruggente replica a brutto muso: «Ci rifiutiamo di pensare che qualcuno che si definisce di centrodestra possa preferire Macron o la sinistra a Le Pen», firmato Zanni, presidente leghista del gruppo europeo Identità e Democrazia, e Campomenosi, capodelegazione della Lega a Strasburgo.

Non è una tempesta in un bicchier d'acqua e la mossa di Salvini non è solo una delle tante manovre di disturbo che il capo leghista mette periodicamente in opera, spesso su inezie. Stavolta la partita è seria o potrebbe diventarlo di qui a un anno. Il primo obiettivo del leghista era sbarrare subito la strada a una strategia che sa essere in campo in Europa, e della quale sarebbero proprio lui e il suo gruppo europeo a fare le spese. Si sa che una parte del Ppe, quella guidata dal presidente del gruppo Weber, e Giorgia Meloni stanno cercando di dare vita, nel prossimo Europarlamento, a una maggioranza Ppe-Conservatori. Però si sa anche che l'obiettivo non è facilmente a portata di mano, dal momento che Liberali non sono disposti a fornire il loro sostegno e che si stanno già ipotizzando altre strade: una su tutte, l'allargamento ai Conservatori della maggioranza Ursula.

Salvini sa per esperienza quanto il colpo sarebbe micidiale. Gli è già capitato nel 2019, quando Conte, senza preavvertirlo e senza neppure consultarlo, spostò i 5S, il cui voto era decisivo, a favore della presidenza von der Leyen relegando la Lega nel ghetto dell'opposizione. Bisogna tenere conto di quanto fondamentali siano ormai, per il quadro interno dei singoli Paesi, gli equilibri europei. Senza la maggioranza Ursula non sarebbe stato possibile il governo giallorosso in Italia che da quella maggioranza europea è stato invece molto spinto se non imposto. Senza il Recovery Fund non ci sarebbe stato il governo Draghi, che del Pnrr è stato invece quasi ovvia conseguenza.

L'uscita apparentemente estemporanea del leghista sulla opportunità di riproporre in Europa la stessa maggioranza che governa oggi l'Italia, cioè un'alleanza Ppe-Conservatori-Identità, aveva come primo obiettivo ostacolare l'eventuale marcia di avvicinamento dei Conservatori, la cui presidente è pur sempre Giorgia Meloni, non al Ppe, disegno che tutto sommato anche dall'opposizione aprirebbe ampi spazi di manovra all'estrema destra di Identità, ma alla maggioranza Ursula. La reazione della Lega al prevedibile e probabilmente previsto pollice verso di Tajani è da questo punto di vista eloquente: è evidente che per Giorgia Meloni sarebbe difficile, forse impossibile, allearsi in Europa con i partiti che la combattono in Italia contro quello che in Italia è il suo principale alleato.

È difficile credere che Salvini si aspettasse una reazione diversa da parte di Tajani che, come lui stesso ha ricordato, è il vicepresidente del Ppe. In Germania la Afd, interna al gruppo Identità, è la nemica principale e la minaccia che deve fronteggiare la Cdu, cioè l'ala tedesca del Ppe. Anche solo immaginare un'apertura del ministro degli Esteri e leader di Fi a forze estremiste che contendono il voto direttamente ai popolari sarebbe stato impossibile. Ma cosa succederà se, dopo le elezioni europee, saranno impossibili sia una ripetizione di Ursula, sia il suo allargamento ai Conservatori, sia infine la maggioranza alternativa Ppe-Conservatori? Certo, anche in quel caso un'apertura esplicita a forze come l'Afd o il Rassemblement National sarebbe impraticabile ma, come ha chiarito la premier stessa, «sui singoli provvedimenti si creano alleanze allargate alternative alla sinistra». E nulla impedisce di proporre una candidatura, formalmente senza accordi precedenti, sulla quale potrebbero poi convergere anche i voti di Identità. Certo il ritorno d'immagine sarebbe per certi versi micidiale. Però non riuscire a eleggere un presidente della Commissione europea lo sarebbe certamente molto di più.