Massimo D’Alema, un uomo solo al comando, ma esclusivamente di se stesso, come lo storytelling renziano, ad uso interno ed esterno, vorrebbe farlo apparire? Davvero l’ex premier, politico anzi accusato da sempre al contrario di eccessivo tatticismo, ora andrebbe da solo allo sbaraglio contro tutti con i suoi comitati per il no “riformatore” (e “non protestatario”, tiene sempre a sottolineare) al referendum costituzionale? Il fatto che la stessa minoranza del Pd, di Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, sembra essersi già accontentata delle aperture di Matteo Renzi, il quale sta usando toni più cauti, meno personalizzati, e soprattutto ha già detto no allo spacchettamento del referendum, lo farebbe supporre. Insomma, D’Alema isolato dai suoi stessi “compagni” della opposizione interna anti-renziana? Sarebbe facile supporlo. Ma forse fin troppo facile. Perché il rischio è che sia solo uno storytelling di Palazzo. E non corrisponda a quel malcontento vero che esiste nel Paese reale di centrosinistra, che è alla radice dell’astensionismo “rosso”. È proprio su questo convitato di pietra della scena politica, speculare all’astensionismo azzurro, che D’Alema si starebbe invece concentrando, un po’ simmetricamente rispetto a quello che si è messo in testa di fare Silvio Berlusconi con gli astenuti di centrodestra. I “Dalemoni” della Bicamerale rialeggiano sul Paese, e stavolta uniti contro Renzi? Sarebbe anche questa una lettura fin troppo fantasiosa.Ma è un fatto che gli obiettivi oggettivamente coincidano. Entrambi, Max e Cav, vogliono la vittoria del no, entrambi non puntano a elezioni anticipate, ma a un governo di grande coalizione che modifichi almeno l’Italicum. Una oggettiva convergenza di obiettivi, seppur ovviamente da campi distinti e distanti, detto alla Cossiga, e sfumature diverse. D’Alema ad esempio di legge elettorale discuterebbe anche prima del referendum e non è contrario allo spacchettamento dei quesiti referendari, che però Renzi ha già bocciato. Comunque la si metta, è un fatto che da Forza Italia sono già venuti apprezzamenti ai tre punti della controproposta dalemiana. Eccola: riduzione del numero dei parlamentari (200 alla Camera, 100 al Senato); commissione di conciliazione quando c’è diversità di voto tra le Camere, un modo insomma per affrontare il bicameralismo perfetto e sveltire l’iter legislativo; solo Montecitorio, infine, potrebbe concedere la fiducia al governo. Lo stesso D’Alema, dal canto suo, aveva già definito “migliore” di quella di Renzi la riforma, cosiddetta “Devolution”, del governo Berlusconi, poi bocciata al referendum, ma con una vittoria dei sì nel “Lombardo-Veneto”.Ma l’ex premier ed ex leader del Pds-Ds intende muoversi ovviamente tenersi distinto e distante nel suo campo, che è il centrosinistra. Dopo aver lanciato la sua controproposta, è partito da Bari per il lancio dei suoi comitati per il “no riformatore”, contro la riforma “obbrobrio” o “papocchio” di Renzi e Boschi. Per tutta la giornata di ieri ha cannoneggiato sul quartier generale renziano, replicando a muso duro anche alle accuse fattegli dal premier sulla privatizzazione di Telecom. «Ci spieghi piuttosto di banca Etruria: Renzi ci parli delle fughe di notizie e dell’insider trading», è andato giù duro D’Alema. E in una intervista a La Gazzetta del Mezzogiorno è tornato a tuonare: «Se Renzi cade, nessun diluvio. Tanti possono fare il premier». E soprattutto: non è vero che prima di Renzi le riforme non sono mai state fatte. Tradotto: Renzi non è il Messia. Parole che hanno fatto dire al presidente dei deputati azzurri Renato Brunetta, con tono compiaciuto: «Un attacco en plain air a Renzi! ».Già, ma se vince il no, Renzi cade, chi potrebbe fare il premier di un governo di grande coalizione che modifichi intano subito l’Italicum, legge elettorale definita da D’Alema “pericolosa”? Le indiscrezioni di Palazzo si sprecano e qui però si rischia anche la fantapolitica. D’Alema avrebbe detto, tranchant, in privato «chiunque abbia un po’ di buon senso». E già però sono partite indiscrezioni, in base alle quali il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, suo ex collaboratore di Italianieuropei, a D’Alema non dispiacerebbe affatto. I rapporti tra i due sono talmente stretti che Giorgio Napolitano sembra chiese proprio aiuto a D’Alema per convincere Padoan a accettare l’incarico nel governo di Enrico Letta. Comunque sia, questa la road map di D’Alema da qui all’autunno: nei prossimi giorni andrà in Emilia Romagna a lanciare un altro comitato per il no, ma l’appuntamento più atteso è quello previsto a breve a Terrasini, in Sicilia, con la Yes, la sigla che sta per organizzazione dei giovani socialisti europei. La sua campagna d’autunno poi si annuncia fittissima. E a settembre non è escluso che la Fondazione Italianieuropei scenda in campo come uno dei soggetti promotori di una proposta ben puntualizzata, ovvero una vera e propria contro-riforma rispetto a quella Renzi-Boschi. D’Alema intende riprendersi il Pd? Intende fare un altro partito? Facile immaginare che a chiunque glielo chieda lui risponda sempre sarcastico: “Scemenze”. Ma una cosa è certo, da politico a tutto tondo quale è, «ha annusato che il clima di forzato unaninismo nel Pd si è rotto e Renzi è indubbiamente meno forte di prima», spiega a Il Dubbio chi si intende davvero di “dalemismo”.