Giorgia ha bisogno del Ppe. Il Ppe ha bisogno di Giorgia. Nessuno nel Ppe, neppure la superamica Ursula von der Leyen, è meglio disposto della presidente del Parlamento europeo Metsola nei confronti della premier italiana. Lo sgambetto tentato da Salvini sarebbe fallito comunque: il rapporto personale tra le due presidenti che si sono incontrate ieri a palazzo Chigi, come sottolineano dallo stesso palazzo, è troppo buono per essere scalfito dai colpi bassi del vicepremier. Ma anche in mancanza di quel rapporto di fiducia sarebbe stato il reciproco interesse a vanificare la manovra del leader leghista, che nessuno a palazzo Chigi reputa frutto di mera coincidenza.

L'attacco all'Europa nel corso della sagra sovranista di Firenze era nell'ordine delle cose. Il colpo basso del giorno successivo diretto proprio contro la presidente dell'Europarlamento, accusata di voler «inciuciare con la sinistra», invece no e tutti, premier inclusa, sono convinti che senza l'appuntamento a Chigi di ieri quell'intervento sabotatorio il capo della Lega se lo sarebbe probabilmente evitato. Nessun problema comunque. Tra amiche e alleate ci si capisce e Meloni ha addossato alle esigenze della campagna elettorale lo sgarbo del suo vice e la faccenda, almeno tra loro, si è chiusa lì.

Subito dopo il faccia a faccia con Metsola la premier, senza pubblicizzare in anticipo l'appuntamento, ha incontrato però anche il reprobo in questione. Un’ora di colloquio a palazzo Chigi, dunque qualcosa in più di uno scambio di opinioni volanti, al termine del quale le fonti di Chigi hanno diramato una di quelle note studiate per non dire assolutamente niente. I due principali leader della destra italiana si sarebbero intrattenuti sul tema di come tornare a vincere le elezioni fra quattro anni. Nemmeno nelle favole. La premier avrebbe chiesto all'alleato di contenere la polemica e la propaganda contundente da campagna elettorale entro limiti tali da non danneggiare la coalizione ma anche da non giocare contro l'interesse del Paese nelle trattative con l'Europa, in questo momento delicate come forse mai prima.

Al di là della risposta del leader leghista, ancora ignota, quella richiesta della premier, pur se del tutto giustificata, non potrà essere accolta, se pure lo sarà, che per poco tempo. La realtà infatti è che i due, nelle prossime elezioni europee, non giocano partite parallele con un certo tasso di competitività interna alla stessa coalizione. Questo sarebbe del tutto nella norma, trattandosi di elezioni proporzionali. Il problema è che Meloni e Salvini giocano partite opposte con opposti interessi strategici. Andare d'accordo, o anche solo fingere di andare d'accordo, non sarà facile.

La premier e la presidente hanno certamente parlato dei temi all'ordine del giorno nell'Unione: l'immigrazione e il prossimo Consiglio europeo, che non sarà uno dei tanti ma dovrebbe varare le nuove regole del Patto di Stabilità, materia incandescente. Ma sullo sfondo c'è una posta in gioco diversa. Metsola non è venuta in Italia solo per fare un po' di propaganda al Ppe ma per continuare a tessere la tela che dovrebbe portare i Conservatori di cui Meloni è presidente all'interno di una versione allargata della maggioranza Ursula dopo le elezioni. Insomma, all'alleanza con il Pse e scusate se è poco. Vale la pena di ricordare che proprio sullo scoglio della attuale maggioranza Ursula si infranse nel 2019 la maggioranza gialloverde.

Metsola affronta la questione, in pubblico, con cautela, senza dire parole di troppo ma anche senza infingimenti. «Le maggioranze per me si formano sui dibattiti», dice e chiarisce che sarà nelle scelte e nei voti «sull'immigrazione, sul clima, sull'aiuto agli imprenditori inclusi quelli italiani» che si potrebbe verificare la possibilità di una maggioranza con dentro sia i socialisti che i conservatori. Sull'amica Giorgia è anche più esplicita: «È una donna molto forte ed europeista. Quando parla si vede che l'Italia conta e io conto sulla sua leadership che ha messo l'Italia al centro del dibattitto europeo».

La sviolinata è sfacciata ma Metsola non è sola. Il giorno prima persino il premier più distante dalla leader di FdI che ci sia in Europa, Pedro Sanchez, aveva assicurato «il massimo rispetto istituzionale» del governo spagnolo. Le porte insomma sono aperte.

Varcare quelle porte sarebbe un passo enorme. Ma la tentazione è fortissima. A Chigi quasi la si tocca. Perché la premier considera ormai quasi certamente svanita la possibilità sulla quale puntava all'inizio, quella di una maggioranza Ppe- Conservatori- Liberali. «È sfumata dopo le elezioni in Spagna, Polonia e Olanda», ammettono sconsolati dal suo giro stretto. Ma la premier italiana non vuole restare nel ghetto dell'opposizione: «Disporre del commissario è fondamentale», proseguono da Chigi. Dunque l'ingresso nella maggioranza, magari con formule ambigue che grazie alla fantasia sbrigliata dei politici italiani alla fine si trovano sempre, è considerato del tutto possibile. Ma su quella strada lo scontro su una Lega che punta invece su un'alleanza europea identica a quella italiana sarà inevitabile.