Mentre divampa la polemica politica, intensificata dal vento delle competizioni elettorali che si avvicinano, l’autonomia differenziata comincia a preoccupare gli esperti dei vari settori per le possibili ricadute sul Sud e sulla stessa competitività dell’Italia. L’approvazione della riforma targata Calderoli, senza una precisa individuazione dei Lep e delle risorse ad essi destinate, potrebbe segnare un punto di non ritorno anche per diritti fondamentali, a partire da quello alla salute. La pandemia ha mostrato le fragilità del sistema italiano e di quello del Mezzogiorno in particolare, ma adesso la situazione potrebbe complicarsi ancora di più. L’ultimo rapporto Gimbe sulla migrazione sanitaria non lascia dubbi in proposito.

Secondo l’analisi di Gimbe la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 ( 3,33 miliardi), con saldi assai variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla Regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3 per cento del saldo attivo, mentre il 76,9 del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Le parole del presidente Cartabellotta a corredo del report sono poi assai dure: «Risulta ai limiti del grottesco la posizione dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal centrodestra favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione».

Secondo il presidente di Gimbe, inoltre, l’autonomia si metterebbe di traverso anche alla possibilità di mettere a terra le risorse del Pnrr per potenziare gli organici degli ospedali del Mezzogiorno. «Urgono interventi straordinari per reclutare in tempi brevi il personale infermieristico, oltre a investimenti certi e vincolati per il personale sanitario dal 2027 – spiega Cartabellotta - e occorre supportare le Regioni meridionali per colmare i gap esistenti con il Nord. In tal senso, va in ' direzione ostinata e contrarià l'intero impianto normativo del Ddl Calderoli che contrasta il fine ultimo del Pnrr, sottoscritto dall'Italia e per il quale abbiamo indebitato le future generazioni. Ovvero perseguire il riequilibrio territoriale e il rilancio del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni».

L’allarme sul possibile impatto dell’autonomia differenziata sulla sanità arriva anche dall’Aiom ( Associazione italiana di oncologia medica) che delinea uno scenario in cui si assisterà a una «progressiva privatizzazione della sanità in alcune Regioni e concorrenza anche fra le strutture pubbliche, a danno sia dei pazienti che degli operatori sanitari. Il punto di non ritorno per il Servizio sanitario nazionale, a cui rischia di condurre il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato al Senato». Gli oncologi hanno poi espresso «forti preoccupazioni» sulla norma, anche per le possibili conseguenze sulla qualità delle cure.

Anche il direttore dello Svimez Luca Bianchi, intervistato da La Notizia, teme che l’autonomia differenziata affibbiato alla presidente del Consiglio, «regina dell’austerità».