Autonomia differenziata: due giorni all'ora X. Sempre che lo sia davvero e scommetterci sarebbe un azzardo. Qualche giorno fa, ospite di Otto e mezzo sulla 7, Salvini aveva dato l'annuncio: «Sarà varata il 2 febbraio dal Cdm». Dubitare era lecito, dal momento che appena il giorno prima palazzo Chigi aveva fatto sapere che se ne sarebbe forse discusso in preconsiglio, ma che il Cdm non aveva il capitoletto in agenda per questa settimana. Evidentemente il capo leghista si è impuntato e Giorgia stavolta ha dovuto fare un passo indietro.

Per la Lega non è solo vitale che il percorso dell'autonomia parta ma anche che lo faccia prima del voto del 12 e 13 febbraio in Lombardia. Il Carroccio non ha al momento assolutamente nulla da offrire al suo elettorato storico, nella Regione roccaforte, per convincerlo a tornare all'ovile e votare di nuovo per la Lega dopo la defezione delle politiche. Poter sbandierare un passo concreto sulla strada dell'autonomia differenziata non vuol però dire avere almeno un risultato da dare in pasto all'elettorato ma quasi rovesciare il quadro, essendo quello il core business di via Bellerio. Tanto più quando una parte della base leghista è apertamente tentata dal voto per Letizia Moratti.

La retromarcia di Giorgia ha il suo prezzo: la spesa storica. Ancora non è chiaro come si articolerà il compromesso ma di certo Salvini e Calderoli dovranno rinunciare all'idea di far scattare l'autonomia sulla base della spesa storica ove non si siano definiti prima i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni. La promessa fatta ieri dalla premier, «l'Italia resterà unita. Non ci saranno un Paese di serie a e uno di serie b» è anche un avvertimento preciso rivolto ai leghisti. Altro passaggio sul quale la premier insiste è quello che riguarda il ruolo del Parlamento, che nella bozza Calderoli non ha di fatto alcun potere. Le Regioni possono chiedere e ottenere l'autonomia lasciando al Parlamento un ruolo solo formale.

La mediazione raggiunta, però, difficilmente basterà a risolvere i molti punti critici della bozza Calderoli, chi definirà i Lep e in quali tempi, se e come saranno innalzati i requisiti necessari per avviare il processo di attivazione dell'autonomia differenziata, come verrà definito il “fabbisogno standard” destinato a sostituire il criterio della spesa storica, come garantire equità tra Regioni povere e Regioni ricche, che significa di fatto anche tra Nord e Sud del Paese. La rinuncia al criterio della spesa storica, se sarà confermata, significa non cristallizzare una volta per tutte la divisione del Paese. Non significa affatto, di per sé, contrastare quella cristallizzazione.

Ecco perché il segretario della Cgil Landini è partito già ieri all'attacco e senza mezzi temini: «L'autonomia è una strada totalmente sbagliata e spacca il Paese perché nel Mezzogiorno non ci sono le stesse infrastrutture e gli stessi servizi sociali del Nord». Non c'è dubbio che la stessa posizione rigida assumerà il M5S e alla fine anche il Pd, nonostante abbia una posizione molto più sfumata, non potrà mettersi contro la linea di assoluto dissenso dei potenti governatori del Sud.

Ma il vero problema non è l'opposizione: è la maggioranza. Fi, trasformatosi col tempo in un partito nel quale il peso del Sud è diventato preponderante, frena ma soprattutto frena il partito di Giorgia Meloni. Un'autonomia differenziata che penalizzasse il Sud va contro i fondamentali di FdI e del suo intero albero genealogico, dal Msi ad An. Non a caso Gianfranco Fini ha rotto il suo prolungato silenzio quasi tombale proprio sull'autonomia, e senza perifrasi: «Devolvere una materia come l’istruzione alle Regioni che significa? Per il momento non è chiaro. I livelli essenziali delle prestazioni devono essere garantiti a tutti i cittadini, altrimenti viene meno l'uguaglian-za. E se non si fa un fondo di perequazione per le Regioni che hanno meno gettito fiscale, il rischio è mettere in discussione l’unità di Italia» .

I nodi per FdI sono la sua cultura politica molto più centralista che federalista e la sua base ancora più meridionale che nordica. Ai quali se ne aggiunge un terzo, per la premier di vitale importanza: l'impossibilità di governare senza i voti del sud. Per ora Giorgia ha dovuto arretrare ma la partita è ancora tutta da giocare.