Che da tempo la coerenza non sia più una categoria della politica, almeno di quella italiana, è noto. Però ci dovrebbe essere un limite anche alle giravolte. Prendiamo la madre di tutte le leggi, quella elettorale: l’Italicum. Non era ancora stato applicato e già Beppe Grillo sentenziava: «Un Renzusconi incostituzionale». Mentre per Matteo Renzi era lo stumento migliore per garantire la stabilità. Ovviamente quella renziana. In sintesi: un videogame farlocco. Succede infatti che i dati elettorali smentiscono le previsioni e chi doveva sicuramente vincere invece perde e viceversa. Oplà, si cambia, che problema c’è. Il premier fa sapere di essere aperto a modifiche perchè magari così salva il referendum. Grillo sbatte la porta davanti alla conclamata incostituzionalità: «Renzi bara, cambia la legge perché sa di perdere». I cittadini assistono sempre più smarriti. Loro sanno come fare: a votare non ci vanno proprio.Veniamo al dunque. Cambiare l’Italicum per salvare il referendum costituzionale: davvero è questa la partita in corso? E’ a questo tavolo che Matteo Renzi si è seduto per giocare le sue carte e vedere quelle degli altri? Meglio dirlo subito: nonostante sia politicamente (nonchè giornalisticamente) seduttivo, si tratta di uno schema che ha forti dosi di aleatorietà. In particolare per un elemento, non trascurabile: il castello della governabilità oggi possibile si regge proprio sull’equilibrio - in ogni caso precario - tra nuovo sistema elettorale e modifiche costituzionali, faticosamente raggiunto in due anni e mezzo di permanenza a palazzo Chigi. Muovendo anche solo un fuscello, il pericolo è che venga giù tutta l’impalcatura. E’ altresì anche vero che di fibrillazione nei corridoi del Palazzo ce n’è tanta, e non tutta necessariamente ingiustificata.Il punto di partenza per provare a capire cosa si muove è l’improvvisa (ma neanche tanto perchè le avvisaglie c’erano tutte) maggiore debolezza in cui si ritrova il presidente del Consiglio all’indomani del voto amministrativo e del tonfo del Pd in alcune delle principali città italiane: Roma, Torino e Napoli. Renzi è il pilastro dell’impalcatura su cui poggia l’intero sistema politico: perciò, per continuare la metafora, se quel pilastro vacilla è tutto l’edificio che ondeggia. Si spiega così il nervosismo nelle fila renziane e la ritrovata intraprendenza di alcune forze politiche: se Renzi è più debole, è questo il momento di colpirlo. E dove se non sul fianco più scoperto, la legge elettorale, che stabilisce vita o morte di partiti e movimenti?Ecco perchè l’idea di cambiare l’Italicum torna in auge. In particolare spostando il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione. Che significa? Che a sinistra del Pd potrebbe nascere una componente radicale che poi al momento del voto si coalizza con il partito maggiore. E idem potrebbe succedere a destra con le componenti moderate. Per non parlare del centro-destra: alzi la mano chi ritiene allo stato possibile un listone unico tra FI, Lega e FdI.Tutto questo ricorda qualcosa? Nel centro-sinistra sicuro: l’addio definitivo alla “vocazione maggioritaria” ed il ripristino del modello Prodi del 2006. Con i partiti alleati in perenne conflitto tra loro e il risultato finale del naufragio dell’esecutivo e del suo comandante in capo. Ritenere che Renzi persegua un tale obiettivo è credere alle favole. Per di più horror.Ovviamente, ma per motivi opposti, è proprio quello lo schema che sinistra dem e Ncd invocano. Addirittura, stando ad alcuni boatos, con il condimento di minacce di crisi di governo da parte di Alfano.Fino a prima delle urne, di fronte ad una simile ammuina, il premier si limitava a fare spallucce condite da qualche battuta sferzante. Ora però non se lo più permettere: essere intransigenti come prima sull’Italicum significa dare alimento alla definizione di un gigantesco cartello dei fautori del No referendario che, sondaggi alla mano, potrebbe risultare vincente. Con le conseguenze che si conoscono. Però, come in tutti gli schemi, anche questo contiene una eccezione. All’apparenza decisiva. Infatti i Cinquestelle, fin oa ieri fieramente contrari, ora spiegano che modificare l’Italiacum «non è una priorità» perché altri sono i problemi urgenti del Paese. Il fatto che i grillini con la riforma sbancherebbero vincendo «70 a 30» (sempre Grillo) c’entra qualcosa?Insomma si torna al quesito iniziale, se si può e se conviene cambiare l’Italicum. Essendo più debole, Renzi si è deciso per atteggiamenti più concilianti. Nelle forme: facendo trapelare la disponibilità a discutere alcuni punti della legge. Più difficilmente nella sostanza: e perciò si tratterebbe nient’altro che di una riedizione del famigerato “stai sereno”, stavolta rivolto ad alleati e a compagni di partito. Con i Cinquestelle che, in un improvviso rovesciamernto di ruoli, si tramutano in partner.In realtà si tratta di un gioco degli specchi e la legge elettorale è un falso bersaglio. Per un duplice motivo. Il primo di sapore istituzionale: come è noto, l’ultima parola sull’Italicum spetta alla Corte Costituzionale e, allo stato, nessuno è in grado di dire quale sarà il verdetto. Il secondo nettamente più politico: se Renzi vince il referendum, diventa ancor più di adesso assoluto king maker del quadro politico: si andrà a votare quando e come dice lui e con il modello che predilige. Se invece perde, l’Italicum verrà rottamato in favore di un sistema di tipo proporzionale, e buonanotte.E’ in un simile quadro che si svolgerà la Direzione del Pd. Particolarmente attesa perché accanto all’opposizione interna pronta ad attaccare alzo zero, si evidenzia l’insoddisfazione dei “giovani turchi” di Orfini e del ministro Orlando. Le accuse al presidente del partito di Marianna Madia e Michela Di Biase, moglie del ministro Franceschini, hanno fatto salire la tensione. A Renzi toccherà fare il pompiere. Una parte che non gli è mai andata particolarmente a genio.