Di qui a poco, o martedì stesso o al più tardi mercoledì, Sergio Mattarella tirerà fuori dal suo guardaroba l’abito di commissario alle crisi ministeriali. Un vestito che gl’inquilini del Quirinale indossano all’incirca una volta all’anno. Per il momento, il Presidente si limita ad assistere allo spettacolino poco edificante di questi epigoni dei ragazzi della via Pál che stanno dando in questi giorni il meglio del peggio. A dritta e a manca. Per ora è silente, il Presidente. Ma con mia somma invidia scopro che in molti cercano d’interpretare questi silenzi. Quasi che si trattasse di silenzi cantatori.

Ma c’è di più. Alcuni rinomati osservatori su autorevoli tribune giornalistiche ritraggono un Mattarella che ai miei occhi pare inverosimile. Un Presidente, si potrebbe dire, del tutto immaginario. Un principe dei quirinalisti come Marzio Breda sul Corriere della Sera del 14 agosto parla di un presunto colpo di teatro di Matteo Salvini. Aderendo alle richieste di Luigi Di Maio, ha detto sì all’immediata approvazione della legge costituzionale sulla riduzione dei parlamentari, all’esame di Montecitorio. A condizione che subito dopo si vada a elezioni anticipate. Mattarella permettendo, si capisce. Apriti cielo. Breda scrive che questa mossa salviniana lo avrebbe “sorpreso”. Che, nel linguaggio di Mattarella, equivarrebbe a sconcerto e irritazione insieme. E perché mai? Per il semplice motivo che questa uscita “cambia le carte in tavola nel percorso della crisi”. E ipotizza uno scenario che “non sta né in cielo né in terra”. Almeno a dar retta alle fonti nei paraggi del Capo dello Stato. E giù “un azzardo assoluto”. “Una mossa istituzionalmente scorretta, oltre che sgrammaticata dal punto di vista degli equilibri fra poteri”. A detta di Breda, Mattarella avrebbe tuonato ( nientemeno…) il suo no all’ipotesi di una tempestiva approvazione da parte di Montecitorio della predetta legge costituzionale “per poi congelarla per cinque anni e intanto tornare subito alle urne e chiudere la legislatura, facendo finta che quella legge non sia stata approvata”.

Francesco Bei su La Stampa dello stesso 14 agosto non è da meno. Scrive che nelle telefonate intercorse tra i consiglieri del Colle e il Presidente, per qualche giorno a La Maddalena, “si è compresa fino in fondo la portata dirompente della trovata del leader leghista”. “Una corsa a perdifiato che rischia di provocare un infarto costituzionale ( accipicchia, n. d. a.) alla Repubblica”. La novità avrebbe lasciato di stucco Mattarella, sorpreso per una proposta che cambierebbe le carte in tavola. Ancora. La riforma costituzionale “per Salvini dovrebbe essere approvata e quindi dimenticata in un cassetto per cinque anni. Facendo finta di niente”.

Lasciando da parte i retroscena giornalistici, fatto sta che tutte queste ipotesi mi appaiono poco credibili. Mattarella sa perfettamente che tre sono i passaggi di una legge costituzionale. Il primo, approvazione da parte dei due rami del Parlamento con una doppia lettura e mera pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”. Secondo, promulgazione della stessa dopo tre mesi o dopo lo svolgimento del referendum confermativo qualora nella seconda lettura parlamentare non si sia raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti ma la sola maggioranza assoluta. Terzo passaggio, entrata in vigore della legge predetta. Dopo la vacatio legis. La legge costituzionale poteva ben essere approvata dall’assemblea di Montecitorio anche prima di Ferragosto. Ma il presidente Fico ( chissà perché) l’ha convocata solo per il 22 agosto. Con l’apertura della crisi ministeriale, però, non potrà essere votata. E decadrà in caso di immediato scioglimento delle Camere. Se fosse già stata approvata prima dello scioglimento, nulla avrebbe vietato che nel frattempo le eventuali procedure referendarie proseguissero senza intoppi. Grazie al regime della prorogatio, ben nota perfino alle matricole di Giurisprudenza, un quinto dei membri delle Camere avrebbero potuto sempre richiedere il referendum nell’arco di 90 giorni: una prorogatio valida non solo dallo scioglimento alle elezioni delle nuove Camere ma anche fino alla loro prima riunione. E allora, di grazia, che problema c’è?

E’ la legge costituzionale stessa che all’articolo 4 prevede che la riduzione dei parlamentari si applica a partire dalla legislatura successiva alla sua promulgazione. Cioè, di norma, cinque anni dopo. Sempre che nel frattempo non intervenga uno scioglimento anticipato. Una disposizione che ha la sua stringente logica. Perché, se avesse previsto la sua immediata entrata in vigore, i parlamentari mai e poi mai avrebbero approvato una legge costituzionale che ne avrebbe messo a rischio l’immediata rielezione.

No e poi no. Secondo me, “quel” Presidente uscito dalla sapiente penna di autorevoli giornalisti è, per come lo conosco, assolutamente immaginario.