No, davvero no. «Non possiamo consentire che il nostro Paese entri nell'età dell'ansia», ammonisce Sergio Mattarella. Come è noto il Quirinale, geograficamente e soprattutto politicamente, è il Colle più alto, l'osservatorio ideale per cogliere umori e avvertire tendenze. Quando la paura diventa bussola di comportamento e la razionalità cede all'incertezza, i pericoli per la tenuta sociale di una comunità crescono esponenzialmente. E' il gioco del terrorismo: perciò stroncare sul nascere questo genere di pulsioni è decisivo. Ma l'ansia ha come caratteristica predominante di essere generalizzata. Penetra le coscienza da mille pertugi, si insinua dovunque trova spazio attaccando, a volte fino a disgregarle, anche le certezze più forti. Un esempio? L'immigrazione, in particolar modo se clandestina. Hai voglia a spiattellare cifre, numeri e percentuali per dimostrare che non c'è alcuna invasione e che i flussi - scafisti compresi - sono più o meno costanti: per tanti, anche se cultori del politically correct, si tratta di un fenomeno incontrollabile e ingestibile. Che genera appunto ansia, paura, angoscia. E che a sua volta produce azioni e indirizza atteggiamenti, spesso vellicati da chi politicamente su quelle paure, angosce, ansie costruisce la sua immagine e proposta.Il punto perciò è proprio questo: l'impossibilità di tenere a freno oltre un certo limite il sentimentdei cittadini che si forma attraverso tanti e svariati canali, principalmente informativi ma non solo: vedi social e Web. E il corollario di questa impossibilità diventa l'interrogativo più importante: ossia quanto l'ansia finisce per condizionare le decisioni politico-elettorali dei cittadini.Complicato rispondere. Eppure è ineludibile. Se prevale la paura, gli elettori possono essere spinti ad attaccare i governanti incapaci di proteggerli, schierandosi a favore delle forze politiche di opposizione. Può capitare che di questa spinta se ne avvantaggino partiti di ispirazione populista e di stampo demagogico. Ma quello stesso genere di paura può anche stimolare un riflesso opposto: di stringersi attorno a quel che c'è, fare muro insieme alle istituzioni anche per evitare una paura più grande ancora: che se quelle crollano, si fa strada il caos. Intendiamoci. Piegare fatti drammatici, di portata mondiale, a logiche di contrapposizione politica interna è fuorviante. Eppure anche qui: praticamente impossibile evitarlo. Torniamo a Mattarella. «Non si può ignorare o condannare la paura: è uno stato d'animo che merita rispetto. Occorre rispondervi con grande serietà», spiega il capo dello Stato. Bene: ma qual è la giusta risposta? Al dunque, inconsciamente o meno, accade che nella partita referendaria di ottobre-novembre (Pokemon permettendo...) c'è chi sulla paura più grande fa affidamento: quella per cui se vincendo il No tutto si sfarina - governo compreso visto l'annuncio del presidente del Consiglio di dimissioni in caso di sconfitta - beh allora meglio evitare. Insensato immaginare che chi coltiva questi vaticini sieda a palazzo Chigi? O che gli avversari di Matteo Renzi facciano invece affidamento sulla paura opposta, quella apparentemente più piccola ma, dal punto di vista dei loro interessi, assai più fruttosa? Seguendo la logica del Quirinale: chi delle due parti in campo mostra più serietà?La realtà è che la paura politicamente maneggiata spesso produce effetti boomerang, con risultati opposti a quelli di chi si avventura a utilizzarla strumentalmente. Prendiamo la Brexit. Per settimane e settimane l'ormai ex premier David Cameron, l'identico ex Cancelliere dello Scacchiere George Osborne e centinaia di esponenti dell'establishment la paura negli elettori hanno vellicato, evocando scenari apocalittici nel caso in cui avesse vinto il Leave. Infatti i Britons accompagnati dalla paura hanno votato: solo che non era quella caldeggiata da Dowining Street, bensì quella dell'immigrazione o della supposta perdita di identità nazionale. Di tutt'altro genere, cioè. E, quel che più conta, con tutt'altri risultati.Insomma con la paura è obbligatorio convivere, ma assolutamente deleterio (e spesso controproducente) trafficare. E' la lezione finale che arriva dal Colle. «Questo dovrebbe e deve essere il tempo della responsabilità. E la responsabilità richiede impegni comuni al di sopra delle divisioni. Sul piano continentale e su quello interno», ammonisce Mattarella. Che più o meno dovrebbe significare: niente ordalie, niente giudizi di Dio. Il referendum è un passaggio: comunque vada, dopo si deve andare avanti nella direzione indicata dai cittadini. Perché loro hanno diritto ad avere paura. Chi deve guidarli, no.