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All'hotspot di Lampedusa non c'è nemmeno un migrante da giorni. Il meteo, l'unico ad avere davvero il potere di governare i flussi, non consente partenze dalle coste tunisine da quasi una settimana. Il centro di prima identificazione dell'isola è deserto e non somiglia nemmeno lontanamente alla struttura al collasso di pochi giorni fa, con quasi 10mila persone stipate in spazi concepiti per meno di 500 ospiti. A presidiare l'hotspot, in attesa di una nuova ondata di arrivi, solo le forze dell'ordine e il personale della Croce rossa italiana. Eppure, anche vuoto, il centro racconta le storie di chi è passato di qui. Odori intensi, di carne ammassata, e scritte sui muri parlano la lingua di tutte le biografie che qui si sono incrociate. Non basta qualche ora per cancellarli, per lavarli.
Gli avvocati europei arrivati sull'isola per il Tralim III, un corso di alta formazione sul diritto all'asilo e sul diritto all'emigrazione organizzato dal Consiglio nazionale forense e dal Coa di Agrigento, si guardano stupiti attorno. Le stanze dell'hotspot prive di porte - riempite di letti a castello senza materassi sfruttando ogni centimetro quadrato disponibile - fanno impressione anche senza esseri umani all'interno. La puzza che proviene dai bagni con le pareti scrostate costringe la delegazione internazionale a velocizzare il passo e andare oltre.
È questo il primo approccio dei profughi con l'Europa. Qui, in uno spiazzale munito di panche in cemento e prese usb per caricare i telefoni cellulari, i migranti appena entrati ricevono l'informativa tradotta in varie lingue con cui poi dovranno orientarsi legalmente in Italia e un kit di prima accoglienza: indumenti e prodotti per l'igiene. E sempre su questo spiazzale avviene una prima identificazione dell'ufficio immigrazione che poi verrà perfezionata all'interno degli uffici della Polizia scientifica, in una piccola palazzina situata all'interno del campo, dove ogni ospite verrà sottoposto a fotosegnalamento (foto segnaletica e acquisizione di impronte digitali o palmari). Da questo momento in poi a ogni nome dichiarato dal migrante verrà associato ufficialmente un volto e altre informazioni che saranno caricate sul portale gestionale per i rimpatri. Da questo momento in poi l'assistenza legale diventa fondamentale al pari di quella medica.
Ad accompagnare gli avvocati di mezza Europa nell'hotspot ci sono il presidente e il vice presidente del Cnf, Francesco Greco e Francesco Napoli, e la presidente del Coa agrigentino Vincenza Gaziano. La visita al campo è solo l'ultima tappa di una tre giorni di studio e confronto sui temi dell'immigrazione, a stretto contatto con tutti i principali attori che sul territorio provano a gestire il fenomeno: dal salvataggio in mare all'identificazione, fino alla richiesta d'asilo. Lampedusa, avamposto meridionale del vecchio continente, è un'università a cielo aperto per chi vuole comprendere il fenomeno.
Sul molo Favarolo, l'attracco consueto per barchini e motovedette cariche di storie recuperate in mare, ora splende il sole, dopo giorni di vento e pioggia. Per gli uomini della Guardia costiera, insolitamente a “riposo” nella baia, la clemenza del mare annuncia solo una cosa: gli sbarchi riprenderanno a breve, già nella notte probabilmente. Il molo per ora è popolato di imbarcazioni turistiche, ma solo dieci giorni fa non si riusciva a vedere l'acqua: 128 barchini - quasi tutti di “latta” assemblata alla meno peggio con colla e siliconi - arrivati quasi contemporaneamente coprivano l'intera superficie del porto. A testimonianza di quell'esodo resta solo qualche relitto semiaffondato ma ancora zeppo di vita: maglie, scarpe, guanti, sacchetti, pneumatici come salvagenti e bottiglie di plastica appartenuti a chi quella notte è riuscito ad arrivare vivo in Europa.
In attesa di nuovi interventi di salvataggio, tre motovedette Sar della Guardia costiera. Su ogni natante c'è un equipaggio composto da 7 uomini altamente qualificati. Dalla loro professionalità dipende la vita o la morte di migliaia di persone. Ogni motovedetta, in condizioni di normalità, è in grado di ospitare a bordo fino a duecento persone, nonostante gli spazi angusti. Ma nei giorni dell'esodo, il comandante Roberto Mangione è riuscito a portare in porto fino a 340 naufraghi in una volta sola. Almeno ottanta di loro erano ospitati in plancia, un ambiente dove già in dieci si sta stretti. È fiero e consapevole dell'importanza del suo lavoro, il comandante Mangione. E già dopo qualche minuto di presentazione si commuove, cerca il suo telefonino e mostra la foto di una neonata. «È Fatima», dice con gli occhi lucidi, «è nata a bordo di questa motovedetta, la mamma ha partorito seduta su questo scalino», aggiunge, indicando il punto esatto del “miracolo”. «La vita prende e la vita dà», dice Mangione, mentre la delegazione di avvocati ascolta i suoi racconti a bocca aperta. Perché all'occorrenza in mare ci si improvvisa anche ostetrici pur di salvare un'altra vita, appena iniziata.
Il vento intanto sta scemando. Il mare sembra placarsi. Dalle coste della Tunisia qualcuno sta aspettando il suo turno per fuggire da un destino di guerra e miseria. Chi ce la farà, troverà al suo arrivo anche avvocati appassionati pronti ad assisterli.