«Qualsiasi decisione prenderà Chiara Appendino io starò sempre dalla sua parte». Luigi Di Maio arriva di corsa a Torino per placare l'ennesima crisi di nervi del Movimento 5 Stelle e scongiurare le dimissioni della sindaca. Dopo la rinuncia alle Olimpiadi invernali, infatti, tocca a un altro evento internazionale abbandonare la Mole e sloggiare verso Milano: il Salone dell'auto. Colpa dell'ostilità di una parte consistente della Giunta poco propensa a concedere parchi e piazze pubbliche per l'allestimento di fiere e manifestazioni private. A provocare l'addio alla città del Salone, sarebbero state in particolare le dichiarazioni, poi parzialmente smentite dal diretto interessato, attribuite al vice sindaco Guido Montanari: «Fosse stato per me, il Salone non ci sarebbe mai stato. All’ultima edizione ho sperato che arrivasse la grandine e se lo portasse via», avrebbe detto, mandando su tutte le furie la prima cittadina. «Dichiarazioni inqualificabili», per Chiara Appendino, che, ormai in rotta di collisione con la sua maggioranza, valuta l'abbandono. L'eventualità di una crisi a Torino fa però impallidire il capo politico M5S, che su Facebook scrive un lungo post per difendere a spada tratta la sua sindaca. Di Maio non può permettersi un altro caso Roma e ancora prima di mettersi in viaggio per il Piemonte prende le distanze dall'ala radicale del Movimento piemontese che ha determinato la perdita di «un'occasione d'investimento» per la città. «Chiara Appendino è una delle donne più coraggiose che abbia mai conosciuto», premette il vice premier, tessendo le lodi delle capacità amministrative della sindaca grillina, in grado di proiettare Torino verso il futuro. «Poi esiste sempre una piccola minoranza, che io definisco “i nemici della contentezza”, quella rappresentata da chi preferisce chiudersi e alimentare rancori e tensioni, credendosi portatori della conoscenza divina su cosa significhi “essere del Movimento”», è la sentenza del capo politico contro i nemici interni. Gli stessi che probabilmente guardano con inquietudine all'alleanza di governo con la Lega, temendo passi indietro su uno dei temi centrali dell'attivismo piemontese: il No alla Tav. Perché quella che Di Maio definisce una «piccola minoranza» coincide con la parte radicale del M5S che a Torino ha messo a disposizione dei 5Stelle negli anni braccia, cuore e voti. Elettori e militanti che per il movimento diventato partito di governo si son trasformati in parenti rumorosi da frequentare il meno possibile. Impresa difficilissima se te li ritrovi in Consiglio comunale a spingere la tua maggioranza. «In questi anni, nel MoVimento, la visione che ci ha portato al governo delle città e del Paese è sempre stata quella di guardare fuori dal MoVimento, oltre un simbolo o un gruppo ristretto di persone, per accogliere nuove sfide e nuova gente, confrontarsi, evolversi, costruire nuovi legami con parti della società», insiste Di Maio, rinnegando una volta per tutte la cultura dei “No” e della decrescita felice che tanta fortuna portò a Beppe Grillo.

In attesa che il capo politico faccia i conti con la sua base, il socio di governo Matteo Salvini ne approfitta per mettere in risalto le difficoltà dell'alleato: «Anche il Salone dell'Auto scappa da Torino, dopo le Olimpiadi e i ritardi sulla Tav altro danno dei 5Stelle alla città: basta, non si governa solo con i no». Per Di Maio si apre l'ennesimo fronte interno. Ma questa volta non basterà minacciare qualche espulsione per venirne a capo.