La riforma costituzionale cambia ancora e non è detto che non cambi di nuovo il testo, essendo aperto a interventi sia del governo che del relatore, il presidente degli Affari costituzionali Balboni. La versione forse definitiva sembra eliminare la differenza tra mozione di sfiducia e fiducia posta dal governo e poi bocciata. Sino a ieri mattina nel primo caso si prevedeva lo scioglimento delle Camere, nel secondo il subentro, per una sola volta nella legislatura, di un sostituto. Ora questa possibilità dovrebbe essere cancellata e in entrambi i casi si procederebbe allo scioglimento. Più precisamente in entrambi i casi il premer sfiduciato può “chiedere al capo dello Stato” lo scioglimento, con un perdurante margine di ambiguità sulla facoltà di quest'ultimo di rispondere picche alla richiesta.

Al traguardo anche gli emendamenti dell'opposizione. Il cavallo di battaglia del Pd, in materia di riforme costituzionali, è quella formula che va sotto il nome di cancellierato. Nessuna elezione diretta ma una molto più marcata centralità del capo del governo, come succede in Germania con il Cancelliere. È un cavallo gagliardo e competitivo perché offre davvero una risposta diversa da quella della destra, peraltro confusa e pasticciata, alla necessità di rimettere mano all'architettura istituzionale pensata dai Costituenti 76 anni fa. Però tra gli emendamenti che il Pd presenta al progetto di riforma, fatti salvi gli emendamenti soppressivi, che si presentano per fare scena, il pezzo forte è solo l'emendamento sulla sfiducia costruttiva, che impedisce la sfiducia senza che sia già pronto un rimpiazzo e che viene messo in campo per parare uno degli argomenti di più sicura presa della destra, l'elezione diretta del premier come garanzia di maggiore stabilità dei governi. Per il resto, il Pd si accontenta del gioco di margine, con emendamenti di sicura non- presa sull'elettorato, come l'innalzamento a tre quinti del quorum per eleggere i presidenti della Repubblica e delle Camere, oltre che per riformare la Costituzione senza dover passare per le forche caudine del referendum.

Quella del Pd è una scelta tanto minimalista quanto eloquente. Tutto è pensato solo in funzione della propaganda referendaria e parlare di cancellierato, cioè ammettere che l'edificio istituzionale voluto dai costituenti è già franato e occorre comunque sostituirlo, sembra al Nazareno controproducente. Inoltre il cancellierato, per funzionare, implica una legge elettorale proporzionale, sia pure con sbarramento potenzialmente piuttosto alto, e su quel punto il Pd non ha mai sciolto le riserve, non ha mai osato schierarsi apertamente a favore di quel modello. Anche perché sa che gli alleati minori, magari piccoli ma fondamentali in un quadro di nuovo bipolarismo, punterebbero i piedi contro una soglia di sbarramento troppo alta. È d'uopo ricordare che nella scorsa legislatura proprio l'incapacità del Pd di prendere drasticamente posizione a favore del proporzionale ha impedito che l'Italia si dotasse di una legge elettorale al posto di quella attuale, prodotta non dal Parlamento ma dai tagli operati dalla Corte costituzionale sui testi usciti dalle Camere.

La scelta di puntare tutto su un referendum radicalmente contrappositivo, nel quale cioè non si ipotizza sia pur solo a grandi linee una riforma diversa da quella in campo ma si nega in radice la necessità di una revisione profonda della Carta nella sua seconda parte, è comprensibile ma allo stesso tempo rischiosa. Il Pd la ha scelta per chiamare a raccolta tutti i potenziali elettori, in difesa né più né meno che “della democrazia”, attento quindi a non perdere i consensi di quanti appunto ritengono che toccare in profondità “la Costituzione più bella del mondo” sia inaccettabile. È possibile e forse probabile che si tratti di un calcolo sensato ma in caso di sconfitta la botta arrivare con forza moltiplicata. Si tratterebbe infatti della vittoria in una prova portata alle estreme conseguenze, democrazia plebiscitaria e autoritaria contro democrazia parlamentare, anche se la nostra è già una democrazia parlamentare solo per modo di dire. Il ruolo del premier, in caso di vittoria del governo, ne uscirebbe ancora più rafforzato.

Non si tratta di una sfumatura. Il testo del governo riveduto dalla maggioranza è un pasticcio nonostante sembri essere stata cancellato il passaggio più assurdo, quello che assegnava ai franchi tiratori o ai gruppetti frondisti della maggioranza una sorta di licenza di abbattere il premier quasi senza pagare dazio. In questo equilibrio precario e instabile il peso della Costituzione materiale, cioè di quanto sarà prevalente l'importanza dell'eletto direttamente diventa centrale e non c'è dubbio che dopo un referendum portato alle estreme conseguenze, di importanza quindi paragonabile solo a quello del 1946 tra monarchia e repubblica, imprimerebbe una spinta vigorosa a favore di un premier ancor più importante di fatto di quanto già non sia nella Carta riformata.