A questo punto neanche un miracolo probabilmente potrebbe evitare le elezioni in ottobre. Del resto le esigenze elettorali hanno condizionato a fondo la giostra impazzita di ieri al Senato.

Letta ha tentato sino all'ultimo di convincere Draghi a non picchiare troppo duro sul M5S e in realtà ci era abbastanza riuscito. Il sogno del segretario del Pd era un pieno ritorno all'ovile del Movimento, non solo in maggioranza ma anche al governo e ancora ieri il Pd ha perseguito con ogni mezzo questo obiettivo. Poco importa se a quel punto la destra avrebbe comunque scelto lo strappo, avendo dichiarato in tutte le salse la sua indisponibilità a restare nello stesso esecutivo con i ministri di Conte. La responsabilità del fattaccio sarebbe stata comunque di Salvini e Berlusconi e la strada per l'alleanza elettorale Pd- M5S sarebbe rimasta aperta e è stato questo, nelle ultime frenetiche 48 ore, il principale, se non unico, interesse del Pd.

Quella strada non è ancora preclusa. Alle elezioni, senza aver avuto tempo di modificare la legge elettorale (come sarebbe stato possibile se non si fossero sprecati anni riducendosi all'ultimo secondo utile), per il Pd presentarsi da solo significa andare incontro a una sconfitta quasi certa. In Italia tutto può succedere ma nella quota maggioritaria l'impresa è davvero disperata. Quindi, nonostante lo strappo, Letta farà quel che può per salvare il salvabile, appigliandosi al fatto che in fondo la parola fine la hanno scritta i partiti di destra e non quello di Conte. È anche questa una missione, se non proprio impossibile, certo molto difficile. I rapporti tra Pd e 5S sono tornati vicini al minimo storico, tanto che ieri al Senato i due partiti già quasi alleati non si rivolgevano la parola. La resistenza della minoranza interna sarà ferrea e in ogni caso a questo punto la coalizione con ' chi ha fatto cadere Draghi' precluderebbe quella con la galassia centrista. Ci saranno Art. Uno e il Cocomero di Fratoianni e Bonelli. Insomma la galassia della sinistra, altrettanto divisa di quella centrista: se non tutta almeno in buona parte. Ma il campo largo resterà stretto.

Nessuna possibilità, invece, che i partiti di destra non si presentino uniti, nonostante la lacerante competizione interna fra Meloni e Salvini. È chiaro che la necessità di cogliere un'occasione elettorale forse irripetibile ha pesato moltissimo nelle decisioni della Lega di ieri. Il discorso deflagrante del capogruppo Romeo, la richiesta di passare a un Draghi bis con ministri e programma diverso, era il prezzo salato di una rinuncia al voto subito che sarebbe stata sofferta per chiunque ma in fondo era anche la sola giustificazione che Lega e Fi avrebbero potuto addurre con Giorgia Meloni per spiegare il rifiuto di tirare il rigore a porta vuota restando al governo.

Non significa affatto che i problemi siano superati. Se la destra vincerà le elezioni con un numero di seggi tale da poter governare da sola azzurri e leghisti sbarreranno poi la strada di palazzo Chigi per Giorgia Meloni. Il tempo per dar vita a una lista e prendere così (probabilmente) un voto in più di FdI non ci sarà. Ma i due leader metteranno in campo la loro possibilità, in caso di rottura dell'alleanza con Giorgia, di guardare anche dall'altra parte, alla ricomposizione di una maggioranza simile a quella attuale. Dunque è possibile, forse probabile, che la leader di FdI finisca per accontentarsi del ruolo di regista (e di un ministero di gran peso) lasciando palazzo Chigi a una figura terza come appunto Giulio Tremonti.

Sulla carta Mattarella potrebbe ancora giocare la carta di un altro governo. È vero che il Quirinale ha sempre escluso questa possibilità ma si sa che in Italia il fragoroso "mai" si traduce spesso con un più modesto "preferirei di no". Probabilmente i voti per un'altra maggioranza sarebbe possibile trovarli ma che il capo dello Stato si esponga all'avventura di un quarto governo e di una quarta maggioranza nel giro di una sola allucinata legislatura è quasi impossibile. Dunque si limiterà ad accelerare quanto più possibile la fase elettorale, fissando le elezioni per il 2 ottobre, e lasciando in carica sino all'ultimo, se appena gli sarà possibile, Mario Draghi.