Chiunque la spunti nella corsa alla segreteria il prossimo leader del Pd si troverà sul tavolo un dossier incandescente: quello che porta incise sulla copertina Cinque Stelle. Stefano Bonaccini non se ne preoccupa: c'è tempo. La prossima prova elettorale rilevante non arriverà prima del 2024 e trattandosi delle elezioni europee non si porranno problemi di alleanza. Ci sono anni per risolvere il rovello. La rivale Elly Schlein non se ne occupa, per i medesimi motivi. Non sono calcoli insensati ma neppure del tutto giusti: prima di tutto perché non si sa mai cosa può succedere nel mare perennemente in tempesta della politica italiana e sarebbe sempre consigliabile non farsi cogliere alla sprovvista da eventuali sorprese, poi perché le alleanze, ma anche le scelte di procedere per strade diverse, vanno preparate e non improvvisate all'ultimo secondo con l'ultimo sondaggio a fare da bussola.

Nella sua incredibile goffaggine il tentativo in extremis di ricucire i rapporti con i 5S fatto nel Lazio da Alessio D'Amato rivela allo stesso tempo quanto sciogliere quel nodo sia imprescindibile ma anche quanto sia quasi impossibile. Il candidato del Pd e assessore uscente alla Sanità non può non rendersi conto da solo di quanto sia fuori dalla realtà una proposta di alleanza su un nome come il suo, non concordato con il partito di Giuseppe Conte e indicato invece da quello di Carlo Calenda, basata sull'offerta della vicepresidenza alla candidata del Movimento, senza alcun confronto programmatico e con il pomo della discordia dell'inceneritore di mezzo. Più che altro la mossa dell'assessore serve a scaricare sui 5S la responsabilità della mancata alleanza e dunque della sconfitta. Cioè di un esito letteralmente incomprensibile per gli elettori, trattandosi di una regione nella quale i due partiti sono già insieme al governo e di una situazione nella quale l'alleanza porterebbe a una probabile vittoria mentre la divisione rende praticamente certa la sconfitta.

L'intesa, se cercata per tempo e con la giusta disposizione d'animo, sarebbe stata senza dubbio possibile. Il fatto che quella strada non sia stata seriamente battuta conferma quel che era già stato rivelato dal doppio disastro della crisi evitabile del governo Draghi e della rovinosa sconfitta nelle elezioni politiche: il Pd, date le sue divisioni interne, non è in grado di reggere l'alleanza con il M5S se non a condizione di un ruolo assolutamente subalterno di quest'ultimo. Alla vigilia della crisi il Pd si è prodotto in una serie di provocazioni che sembravano fatte apposta per allontanare Conte. L'obiettivo della strategia non poteva però essere questo, a meno di non sospettare che un'imperiosa voluttà suicida si sia impadronita del Nazareno. Lo scopo era piuttosto costringere platealmente i 5S ad accettare un ruolo ancillare, anche per piegare le resistenze interne al Pd stesso. Il Lazio prova che la batosta non ha cambiato di molto le cose.

Limitarsi ad aspettare nella speranza, del tutto incerta, che il tempo risolva da solo le cose probabilmente servirà a poco e l'illusione di fare dei 5S una ruota di scorta dovrebbe essere stata dissipata dai sondaggi che non autorizzano affatto una simile chimera. Dunque il prossimo segretario del Pd dovrà decidere se cercare sul serio un'alleanza politica con Conte, anche a costo di rischiare uno scontro interno duro, oppure se battere una strada opposta. Ma dovrà farlo nella pratica d'opposizione quotidiana, non nella leggerezza di dichiarazioni d'intenti prive di ogni incisività.

Nessuno può dire oggi quali saranno i banchi di prova di una possibile alleanza forgiata nella pratica politica d'opposizione. Alcune voci non secondarie sono però prevedibili. La prima è l'autonomia differenziata e su quel fronte non dovrebbero esserci problemi nel trovare una linea unitaria, almeno nella bocciatura della formula Calderoli. La seconda è più problematica: sul presidenzialismo il Pd dovrà scegliere tra una posizione negativa intransigente, come quella che assumerà Conte, e una posizione possibilista e dialogante. Nel primo caso rischia di ritrovarsi tagliato fuori dal gioco della prossima Repubblica, messo all'angolo dai centristi che invece certamente cercheranno un'intesa con la maggioranza. Il prezzo della seconda opzione sarebbe però una rottura forse senza più appello con il Movimento, al quale verrebbe così consegnata la bandiera della difesa della Costituzione. Sarà un dilemma in piena regola ma la scelta peggiore sarebbe schierarsi sulla posizione rigida senza però riuscire in cambio a comporre un fronte di sinistra con i 5S. Stando a quanto si è visto sinora non è affatto escluso che il Pd imbocchi proprio questa strada, continuando a farsi molto male da solo.