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L' autunno non è la primavera. A conti fatti il labirinto dal quale il governo non riesce a uscire nella gestione della seconda crisi Covid nel giro di pochi mesi è tutto qui. Anche a prescindere dalle differenze meteorologiche, che pure pesano perché una cosa è trovarsi con l'estate alle porte e un'altra vicini all'inverno, la distanza va misurata su due indicatori precisi: le distinte strategie da mettere in campo in presenza di diverse condizioni sia sanitarie che economiche e la diversa ricezione della decisioni del governo da parte della popolazione.
In primavera, colti di sorpresa come tutto il mondo, a fronte di un'emergenza urgentissima, il governo, come buona parte dei governi europei, aveva di fronte una strada quasi obbligata: quella della chiusura, del lockdown. Non era una scelta facile, anzi era un azzardo sia in termini di consenso che di ricaduta economica, e andrebbe riconosciuta al governo Conte la capacità di imboccare quella strada, pur se non subito, comunque tempestivamente. Una volta presa la sofferta decisione, implementarla era però abbastanza semplice: in fondo la chiusura è il metodo che si adotta contro le epidemie da molti secoli.
L'Europa, dopo una serie di clamorosi errori iniziali, ha corretto la rotta abbastanza presto, facendosi carico della crisi e mettendo in campo strumenti che autorizzavano una ragionevole speranza, pur se non la certezza, di superare una crisi economica di gravità forse inaudita in tempi eccezionalmente rapidi. La popolazione ha risposto più che positivamente. Ha compreso e scusato gli sbandamenti iniziali in nome del carattere improvviso, imprevisto e violentissimo del colpo. Si è uniformata alle norme di restrizione, del resto rigide ma di facile e immediata comprensione, con rara disciplina, sia per paura che perché la gravità già dispiegata del quadro sanitaria spingeva con molta potenza in quella direzione.
Il quadro autunnale è opposto. La soluzione più semplice, il lockdown, è reso impraticabile, almeno per ora, da diversi elementi: la mazzata economica, che stavolta sarebbe da ko nonostante l'Europa; l'assenza di un quadro sanitario già gravissimo, perché stavolta la chiusura sarebbe preventiva e non “curativa”, la confusione nei messaggi inviati non solo dalla politica ma anche dalla comunità scientifica, molto meno univoci di quanto non fossero qualche mese fa. In un panorama diverso bisognerebbe battere strade diverse, di molto meno semplice attuazione. Bisognerebbe avere capacità ed efficienza tali da garantire controlli diagnostici ordinati, misurati e non caotici, capacità di tracciamento mirato e strategico, assistenza domiciliare basata sul potenziamento della medicina territoriale, controllo effettivo sui mezzi di trasporto e sull'organizzazione urbana che ne determina la saturazione. Basta aprire un giornale o sperimentare di persona lo stato delle cose per concludere che nessuna di queste esigenze è assolta in modo anche solo in minima parte soddisfacente. Alla prova dell'efficienza il sistema di gestione della pandemia è collassato. Sul fronte della popolazione lo stacco è altrettanto marcato. La verità è che il governo è stato colto di sorpresa per la seconda volta. Si aspettava di essere messo alla prova sul fronte dell'economia, assolutamente non di nuovo su quello sanitario. Ma stavolta la disponibilità a perdonare in nome dell'imprevedibilità del colpo è inesistente. I messaggi contraddittori, l'esasperazione per una disorganizzazione che moltiplica i disagi, l'impossibilità di reggere a un nuovo e temuto colpo al portafogli portano a una reazione opposta a quella della primavera. La maggioranza degli italiani rispetta le norme, esce con la mascherina, si tiene a distanza. Ma il consenso nei confronti dell'esecutivo va a picco.
L'aspetto più preoccupante è che Conte, e con lui l'intera squadra dei ministri, sembrano non capire affatto l'impossibilità di affrontare la nuova emergenza con la cassetta degli attrezzi già sperimentata. Quando il premier dichiara che non si può affrontare la situazione come in primavera intende solo un dosaggio diverso delle chiusure, non il ricorso a strumenti diversi, più sofisticati e impegnativi ma anche adeguati a questa fase, come una vera medicina territoriale o un intervento ardito e fantasioso sul nodo dei trasporti. Tutto si riduce a chiudere più o meno, e lo stesso confronto interno al governo è solo su questo fronte. Con la sola aggiunta del pressante invito rivolto ai cittadini a usare mascherine che la stragrande maggioranza già indossa e degli appelli a un senso di responsabilità che scarseggia soprattutto a palazzo Chigi e dintorni.