Giorgia Meloni è impegnata in un'offensiva diplomatica a tutto campo. Rientrano in questa cornice gli incontri con Ursula von der Leyen, di prammatica ma non con quel tasso ostentato di reciproca cordialità e sbandierato apprezzamento, e con papa Francesco, molto meno rituale. Ma anche molte scelte politiche del governo, inclusa la scelta di difendere la fine del taglio sulle accise, rientrano a pieno titolo in questo progetto. La premier italiana non mira a tagliare le radici con il vecchio Msi come tradizione del trasformismo italiano.

Al contrario le rivendica, ma cercando di imporre una visione di quel partito opposta a quella usuale: il Msi di Giorgio Almirante non più partito erede del regime ma pioniere di una destra democratica. Esterno all'arco costituzionale quanto si vuole e tuttavia pilastro della Repubblica. Messe così le cose diventa del tutto possibile, anzi obbligatorio, fare di un partito come FdI, nonostante sbandieri e ostenti le radici almirantiane, la forza guida di una destra conservatrice radicale ma non estrema, del tutto legittimata a figurare nel gioco democratico non solo italiano ma europeo.

Questo cerca oggi una leader che già si sente protagonista non solo della scena politica italiana ma anche di quella europea. Questo l'Europa è disposta a concedere purché la premier italiana tenga duro sui soli punti che per Bruxelles abbiano rilievo reale e non essenzialmente retorico: la guerra in Ucraina e il rigore nel controllo dei conti pubblici. Il “disgelo” siglato dai sorrisi e dai cinguettii della presidente della Commissione europea non è a priori: consegue direttamente alla posizione iperatlantista dell'Italia sul sostegno all'Ucraina e a una manovra non prudente come la si è definita ma austera. Quel credito però svanirebbe immediatamente ove queste posizioni dovessero smottare. Anche per questo la premier è decisa a inviare lo scudo richiesto da Kiev e da Washington checché ne pensino gli alleati e per lo stesso motivo non arretra sul taglio delle accise, nonostante il rischio che l'azzardo spinga l'inflazione e abbatta il consenso.

È un esercizio d'equilibrismo difficile quello in cui la presidente italiana si è avventurata. Mostrarsi troppo obbediente potrebbe costarle alla lunga caro in termini di voti sonanti. Arretrare anche solo di pochi passi sia sull'Ucraina che sul rigore brucerebbe la credibilità ancora fragile che si è conquistata in questi pochi mesi. Il dialogo con il papa, altra vittoria diplomatica innegabile, rischia poi di implicare presto se non un ripensamento impossibile sul fronte dell'immigrazione almeno la scelta di temperare le norme più inaccettabili per Francesco e anche lì si profila l'obbligo di un equilibrismo da virtuosi.

L'elemento che può far traballare e forse franare l'intera costruzione dipende ancora dall'Europa. Non però dalla Commissione ma dalla Bce. Le decisioni di Francoforte possono infatti precipitare l'Italia in una situazione di estrema difficoltà, nella quale tenere a bada gli alleati diventerebbe per la premier impossibile e lei stessa si troverebbe costretta a una scelta netta tra la ricerca della legittimazione dell'Europa e la difesa del consenso in patria. Si spiegano anche così i toni molto più ruvidi del solito di un ministro che da sempre è vicinissimo alla presidente come Guido Crosetto ma anche le più diplomatiche e paludate indiscrezioni che filtrano dal Mef.

Sul fronte dei rapporti con la Banca, infatti, la premier non può ancora vantare le stesse credenziali che presenta all'Europa. È vero che anche per Francoforte il primato dei conti pubblici è essenziale, vanificato però in parte dalle resistenze nel sottoscrivere la riforma del Mes. Fosse per Giorgia quella firma arriverebbe ma il Mes è una bandiera che col tempo ha assunto un rilievo tale da non poter essere maneggiata senza tener conto degli umori della maggioranza.

Per proseguire sul cammino della piena legittimazione europea la premier dovrà dimostrare di saper tenere sotto controllo la sua maggioranza e la missione sarà comunque delicata. Ma quanto difficile sarà per Giorgia Meloni farcela dipenderà in buona misura proprio da se e quanto la Bce accetterà di mitigare quella strategia anti- inflazione che minaccia non solo la ripresa dell'economia ma anche la stabilità della maggioranza.