Più che la proverbiale "tempesta perfetta" l'intreccio fra referendum costituzionale e situazione economica compone un diabolico labirinto. All'origine c'è un clamoroso errore del quale il premier si è accorto e al quale ha cercato di rimediare ma troppo tardi: l'aver personalizzato il referendum quando avrebbe dovuto fare l'impossibile per tenerlo quanto più separato possibile dalle sorti del governo. La retromarcia è arrivata in ritardo e a questo punto il referendum sarà, come in parte sarebbe stato comunque, più sul gradimento al presidente del consiglio che sulla riforma della Carta. A orientare gli elettori saranno dunque la condizione dei loro portafogli e le più o meno rosee aspettative per il futuro prossimo.Anche quando scommetteva su un esito plebiscitario della prova, Renzi sapeva di giocarsi la partita in larga misura proprio su questo fronte e aveva messo a punto già dalla primavera la sua strategia: mettere all'incasso elettorale i successi che riteneva sarebbero stati certificati entro l'autunno e soprattutto giocare la carta più pesante, il taglio dell'Irpef. In questo modo la diminuzione della pressione fiscale sarebbe stata avvertita immediatamente da tutti, come in una versione formato macro degli 80 euro del 2014. Per farcela contava su una andamento positivo pur se non eccezionale degli indicatori economici e sull'appoggio di un'Europa costretta, dopo la Brexit, a concedere molto più del passato in termini di flessibilità.Solo che le previsioni si sono rivelate sbagliate. Nonostante la promozione dal parte della Ue, il sistema bancario resta il punto debole che tira a fondo le borse, come si è visto chiaramente anche ieri. La produttività langue, il Pil resta ben al di sotto delle pur caute previsioni, il debito si gonfia ulteriormente. La conseguenza è che, proprio alla vigilia di una prova elettorale che richiederebbe di "fare contenta" la vasta maggioranza del corpo elettorale, Renzi rischia di dover scontentare ampie aree di cittadinanza.Le urgenze sono infatti tre e tutte coinvolgono settori centrali della popolazione: il rinnovo dei contratti del Pubblico impiego, per il quale sono necessari sette miliardi in tre anni, l'intervento sulle pensioni, promesso da Renzi salvo immediato colpo di freno del viceministro dell'Economia Zanetti, il taglio dell'Ires, ultima speranza per rilanciare l'economia. La cifra necessaria per una legge di stabilità che contenga queste tre voci è incerta. Il minimo della pena saranno una ventina di miliardi, ma le voci che partono dal governo stesso parlano invece di almeno 30. Il Mef ha smentito, ma con una prudenza tale da far sospettare che le indiscrezioni siano invece fondate. La nota del ministero di via Nazionale ha infatti definito quei conti "prematuri" dal momento che la Nota correttiva del Def arriverà solo il 20 settembre.In ogni caso, la concessione di un ulteriore margine di flessibilità da parte dell'Europa, pari almeno a 10 miliardi, resta condizione indispensabile. E' molto probabile che il soccorso europeo arrivi, data la situazione di massimo rischio che l'Unione corre ovunque ma in particolar modo sul nevralgico fronte italiano. Però non è detto che raggiunga la somma invocata dal governo nazionale ed è invece certissimo che l'eventuale regalino sarà accompagnato da indicazioni tassative e condizioni inderogabili. Tanto più dopo che l'Europa ha dovuto ingoiare controvoglia e con palese irritazioni il taglio "elettorale" della tassa sulla casa.In concreto, i soldi che l'Europa concederà dovranno essere spesi essenzialmente per abbattere la pressione fiscale sulle imprese. Del resto proprio questo è il suggerimento arrivato dalla pioggia di articoli susciti sulla stampa americana e inglese intorno a ferragosto. Renzi dovrà di conseguenza scontentare qualcuno, anzi molti.Il taglio dell'Ires sarà dunque senza dubbio la prima e principale voce, come anticipato da Zanetti. I fondi per le pensioni e per il Pubblico impiego sono invece incerti, quelli per l'agognato taglio dell'Irpef non ci saranno. Dal punto di vista della strategia economica complessiva, privilegiare lo sgravio per le imprese, ultima chance per evitare il collasso, è del tutto comprensibile. Il punto dolente è che i risultati di quell'intervento, se ci saranno, si vedranno in tempo per le elezioni politiche ma certo non per il referendum. E' questo il labirinto in cui si aggira Renzi. Per uscirne dovrà inventarsi un colpo d'ala geniale, e soprattutto dovrà farlo entro tre mesi.