Dal palco di Palermo, Grillo ha intonato la sua versione di "Andiamo a comandare", assicurando che il M5S è maturo per il governo. Lo ha fatto rivolgendo il verbo in prima persona, contraddicendo e spedendolo in soffitta, il"passo di lato" di un pugno di settimane fa. Non è cosa da poco e guai a derubricarla come puntata del copione battutista dell'ex comico.Al contrario, si tratta di una novità più grande di quel che appare a prima vista, e forse non colta appieno sia da chi continua a leggere le mosse grilline con gli occhiali della politica politicante sia, sul fronte opposto, da chi chiude gli occhi sulla realtà lasciandosi irretire dalla propaganda stellata.Ma che tipo di novità, e per arrivare dove? Innanzi tutto a dispetto delle giaculatorie isolazionistiche, segna una modifica strutturale del Movimento nel senso che, volenti o nolenti, rappresenta un altro passo verso l'omologazione al resto del contesto politico. E' evidente che ogni struttura politica, comunque la si voglia chiamare e qualunque assetto abbia: tradizionale o "social", necessita di un quadro di comando e di una leadership strutturata e condivisa. L'idea un po' maoista per cui cento fiori fioriranno e perciò la classe dirigente di quella medesima struttura si autogenera, autodefinisce e autogestisce, sconta una virtualità magari inebriante ma farlocca. Dunque Grillo riprende il comando perchè con lui di lato il Movimento giorno dopo giorno è andato sbandando come una fuoriserie dove il guidatore è distratto a chattare. Una decisione, insomma, che contiene non un elemento di crescita bensì è il prodotto di un riflesso di autodifesa. Inoltre - e sempre in controtendenza rispetto agli aulici riferimenti ad una primitiva nonché innovativa purezza - segna il definitivo accantonamento dell'uno vale uno. Grillo comanda (seppur a modo suo: ma anche questo è un problema), assegna i ruoli, garantisce la congruità o meno delle scelte al modello che lui stesso incarna. E infine, cosa importantissima, stabilisce giù per li rami il quadro e le figure di riferimento dei Cinquestelle, a livello sia centrale che periferico. Uno sopra tutti, verrebbe da parafrasare. L'obiezione è che è sempre stato così fin dall'inizio, e perciò di nuovo non c'è nulla. Vero. Ma vero anche che sulla retorica opposta, cioè dell'egualitarismo assoluto garantito dalla Rete esempio e testimonianza di una democrazia che più diretta e partecipata non si può, è stato costruito il mito di una presenza politica completamente diversa da tutte le altre. Una fetta non trascurabile delle fortune elettorali del Movimento è nata e consolidata così.Andiamo avanti. Adesso che se lo è ripreso, qual è il Movimento che l'ex comico si ritrova tra le mani? Risposta: un insieme entusiasta e al tempo stesso smarrito; vincente al punto di diventare travolgente eppure dilaniato fin quasi alla spaccatura; celebrato dai riflettori della politica-spettacolo e tuttavia poco coeso; sicuro delle proprie soluzioni ma impossibilitato a metterle in campo. Un assembramento polimorfo che spiazza e disorienta per primi quelli che lo hanno votato. La mossa di Grillo punta a fare piazza pulita di tante scorie in modo da riprendere speditezza e linearità di cammino. Eppure è proprio qui che si manifesta la problematicità maggiore. Se Grillo intende riprendere il bastone del comando seppur, come evidenziato, a modo suo (?), inevitabilmente sarà chiamato a dover svolgere un'azione di leadership via via più forte e definita. Chi fa il leader, cioè, lo deve fare sempre: è chiamato a "dare la linea", diventa responsabile di tattiche e strategie. E' a lui che si rivolgono militanti e simpatizzanti per capire in che direzione devono muoversi e cosa e come comunicare: altro che consultazioni via web.Si tratta di un compito cui è impossibile sottrarsi, ma è proprio sotto questo aspetto che finora Grillo è stato - un po' per furbizia; forse per impreparazione - massimamente evanescente. Adesso però diventerà assai più difficile. Facciamo degli esempi. La principale battaglia politica dei Cinquestelle sarà fare in modo che il No vinca il referendum per cacciare via Matteo Renzi. Bene: quali saranno le disposizioni che Grillo impartirà affinché quel traguardo sia raggiunto? E una volta eventualmente conseguito lo scalpo del premier, come si atteggerà il M5S, che passi muoverà, quali decisioni adotterà? Insomma: politicamente che scelte farà? Finora la parola d'ordine è stata sottrarsi al confronto. Ma è evidente che se si punta al governo del Paese, quei paraocchi finiscono per diventare ingombranti. Oppure producono corti circuiti stranianti, vedi l'ok di Di Battista al governo di scopo. Opinione subito sotterrata, ma destinata a riemergere come gordiano nodo da tagliare appena chiuse le urne referendarie. Nè ci si può rifugiare nel fortino degli attacchi ai giornalisti. Peraltro gli stessi ai quali si concedono fiumi di interviste.Altro esempio: la legge elettorale. L'opzione è il modello proporzionale. Per ottenere cosa? «Facciamolo, e poi si vedrà», è la risposta dei dioscuri Di Maio e Di Battista. Impostazione che va bene nei comizi del Vaffa o nei talk show: nella realtà non funziona, serve altro. Precisamente serve di sapere quali passi muovere, uno dopo l'altro, per arrivare all'obiettivo. Dopo averlo definito, naturalmente. Altrimenti quel che è elemento di forza si trasforma in piombo nelle ali: la vicenda di Roma insegna. Per concludere. Caricandosi del peso della leadership, Grillo, anche se a parole lo rigetta, si è caricato pure del compito di gestire un patrimonio politico e elettorale tendenzialmente maggioritario. Ma è una gestione che necessità di idee chiare, di una "visione" da trasmettere a tutto il Paese. Illudersi di poterlo fare a colpi di slogan vuol dire baloccarsi. Come i bambini.