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La premier Giorgia Meloni
Impossibile dire quali tra le tante tensioni intrecciate intorno alla partita delle nomine dei vertici di polizia e Guardia di finanza abbia pesato di più nel colpo di scena clamoroso di due giorni fa. Il ministro Giorgetti, invece di ufficializzare e rendere definitivo il passaggio di consegne tra Giuseppe Zafarana, comandante delle Fiamme gialle passato a dirigere l'Eni, e il suo vice Andrea De Gennaro, è intervenuto alla cerimonia di avvicendamento per specificare che i giochi non sono fatti, che quello di De Gennaro, per ora, è solo un interim, che la strada è ancora lunga. Ma soprattutto che a decidere sarà lui: «La nomina sarà un processo complesso e condiviso che si concluderà con una deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Economia». E la rosa dei papabili, tra i quali c'è anche De Gennaro, di petali ne ha molti: addirittura 14 anche se in pole position ci sarebbero solo tre nomi, quelli dei generali Buratti, Carbone e Greco. Sempre che sia davvero definitivamente uscito dalla gara il graduato su cui puntava Giorgetti: il comandante del reparti speciali della Gdf Umberto Sirico.
Il braccio di ferro va avanti da un pezzo anche se nessuno prevedeva che arrivasse a essere messo in piazza in maniera così palese e deflagrante. De Gennaro è il candidato della premier, ma in realtà soprattutto del potente, anzi potentissimo sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, l'uomo forte di Chigi. Nello scontro interno al governo, Giorgetti non prende di mira la premier ma il sottosegretario e può farlo anche perché gioca in tandem con un altro pezzo da novanta deciso a sgambettare l'invadente Mantovano, il ministro della Difesa Crosetto, al quale spetta il compito di un parere consultivo non vincolante ma quasi, perché una nomina dei vertici della Gdf sgradita alla Difesa non si è mai vista. Senza il supporto militante di Crosetto, probabilmente Giorgetti si sarebbe arreso già la settimana scorsa.
Il gioco di potere tra “gerarchi” è certamente fattore eminente nella paralisi, però non unico. Il merito c'entra: Giorgetti e Crosetto sono convinti che De Gennaro non sia la figura adatta per ricompattare un corpo che non è mai stato così diviso e lacerato. Ma sullo sfondo si profila anche l'eterno scontro tra FdI e Lega. I fronti aperti sono innumerevoli: il più immediato riguarda un altro vertice quello delle Ferrovie: 16mila km di rotaie, 24 miliardi in arrivo dal Pnrr, situazione tutt'altro che rosea. Lo scontro diretto è tra Fitto che vorrebbe insediare un esterno, Gianpiero Strisciuglio manager di Mercitalia Logistics, e Salvini che invece vuole la promozione di un dirigente interno, Umberto Lepruto. Il braccio di ferro prosegue da settimane e inevitabilmente si intreccia con la partita sulla Gdf anche se tanto per le Fiamme Gialle quanto per Rete Ferroviaria Italiana è impossibile dire dove finisca lo scontro senza esclusione di colpi tra ministri che cercano di aumentare il proprio già cospicuo potere e dove inizi quello tra partiti della maggioranza.
Nessun dubbio, invece, per quanto riguarda la partita più importante: quella dell'autonomia differenziata. Lì in ballo c'è l'intera Lega ed è una partita quasi per la vita o per la morte. L'avvertimento lanciato dal capogruppo Molinari alla vigilia degli incontri sulla riforma istituzionale, con i dubbi espliciti sull'ipotesi del premierato, era un monito preciso: la Lega vuole l'autonomia subito, entro l'anno, in tempo per le europee, senza aspettare i tempi lunghi della riforma costituzionale. Nella conferenza stampa al termine delle consultazioni la premier ha mostrato di capire l'antifona, segnalando che le due riforme sono sì inscindibili ma procedono giocoforza con tempistiche diverse.
La partita è ancora tutta aperta ovviamente ma è un fatto che sin qui i due partiti della destra italiana sono sempre riusciti a non far degenerare le frizioni in scontro aperto applicando l'antichissimo metodo della spartizione. Per conoscere i nomi dei commissari di Inps e Inail ci vorranno addirittura 30 giorni ma l'intesa è già definita: un fedelissimo della presidente andrà all'Inps mentre l'Inail è assegnato al Carroccio. Su Eni ed Enel la spartizione ha evitato che il braccio di ferro si trasformasse in problema reale e alla fine la quadra tra presidenzialismo e autonomia verrà trovata. Le tensioni difficili da gestire, forse, sono proprio quelle tra ministri e capibastone, quelle in cui la politica c'entra poco e il potere personale moltissimo.