Il discorso di Giorgia Meloni di fronte all'assemblea nazionale del suo partito di martedì scorso non è stato solo una prevedibile mistura di trionfalismo e vittimismo. Non che siano mancate le esaltazioni dei risultati raggiunti dal suo governo, che come sempre quando a parlarne è il capo del governo stesso sono mirabolanti, e neppure gli anatemi contro l'opposizione. Qui, anzi, la presidente del Consiglio si è allargata più del solito, esagerando nel denunciare un'opposizione quasi diabolica nelle sue infinite trame. Ma, toni iperbolici a parte, non c'era nulla di men che prevedibile. La sorpresa è nel tasso di preoccupazione e di allarme che si percepiva chiaramente nella prolusione, forse anche più di quanto non fosse nelle intenzioni della oratrice.

Certo, la presidente del consiglio ha chiamato i suoi a raccolta per fronteggiare l'offensiva dell'opposizione il cui impeto, nelle sue profezie, sarà nel 2024 molto più vigoroso di quanto non sia stato sinora. Però, tenendo conto della inoffensività dell'opposizione stessa nella realtà, è impossibile credere che siano davvero le armate di Schlein e Conte a preoccupare tanto una presidente del Consiglio che nei sondaggi è ancora saldamente in testa e che è riuscita a occupare ogni postazione di potere quasi senza colpo ferire.

A spiegare cosa tema davvero Giorgia Meloni ci hanno pensato le cronache successive al comizio. La mossa della Germania e della Francia sul fronte dell'immigrazione rompe una tregua che, pur vacillando, resisteva dai tempi della rissa con la Francia del novembre scorso. La Germania ha sospeso il Meccanismo volontario di solidarietà, voluto per primo proprio dal governo tedesco, accusando l'Italia di non riprendersi i richiedenti asilo passati dall'Italia in Germania, in violazione delle regole di Dublino. La Francia ha annunciato la blindatura del confine, tra Mentone e Ventimiglia, mossa chiaramente dettata dalla sfiducia nei confronti della severità dell'Italia nel controllare i migranti in uscita.

Formalmente, i due principali Paesi dell'Unione hanno il diritto dalla loro parte. Ma essendo noto a tutti che quelle regole penalizzano fortemente proprio l'Italia vengono di solito applicate con un margine di elasticità. L'irrigidimento dipende certamente dall'ondata di profughi che si sta riversando quest'anno sulle coste italiane. Ma è impossibile non cogliere una mossa apertamente ostile nei confronti dell'Italia da parte dei due Paesi che sono da sempre la locomotiva dell'Unione.

L'uscita della Bce sulla tassa per gli extraprofitti delle banche di ieri è uno sgambetto plateale. Il verdetto della Banca centrale, anticipato dalla bocciatura dell'Abi in patria, è pesantissimo. Nel merito il provvedimento potrebbe penalizzare la crescita, perché le banche finirebbero per rivalersi restringendo il credito. La norma potrebbe inoltre indebolire gli effetti della stretta sui tassi decisa dalla Bce. In particolare, segnala infine il report di Francoforte, a essere colpiti sarebbero gli istituti più piccoli ed è appena il caso di notare che la principale modifica richiesta da Fi è proprio l'esclusione delle «banche di prossimità» dal prelievo. Infine un monito molto preciso: in ogni caso i proventi della tassa non potranno essere adoperati per il risanamento del bilancio. Cioè non potranno essere adoperati nella manovra. Sulla tassa Giorgia Meloni si è esposta troppo per ritirarla, ma di fronte a un'offensiva di questo livello è probabile che la norma sarà riveduta, corretta e fortemente ridimensionata.

Formalmente la premier salverà così la faccia ma nei fatti si tratterà probabilmente di una resa, pur se non incondizionata, dovuta almeno in buona parte proprio all'affondo della Bce. Domani e dopodomani, infine, il vertice informale Ecofin di Santiago di Compostela inaugurerà la fase decisiva delle trattative sulla riforma del Patto di Stabilità. Al momento, nessun segnale indica la presenza di una vera disponibilità nei confronti delle richieste italiane. La divisione dei Paesi europei in tre fasce a seconda dell'affidabilità del debito, ovviamente penalizzante per un Paese col debito alle stelle, non è in discussione.

La richiesta italiana di prorogare la sospensione delle regole in caso di mancato accordo sulla riforma non è neppure presa in discussione. Sulla possibilità di escludere dal deficit le spese strategiche qualche spiraglio forse c'è, ma in via rigorosamente informale e certo non nelle forme invocate dal governo di Roma. In compenso è molto probabile che il vertice chieda perentoriamente all'Italia di uscire dall'ambiguità sulla ratifica della riforma del Mes. Una materia che per la maggioranza è tritolo puro. Ce n'è abbastanza per concludere che le paure della premier sono reali e anche fondate. Ma non riguardano l'opposizione. Dipendono dall'Europa.