A Silvio Berlusconi va riconosciuto un merito straordinario. Nel 92-94 era stata operata in Italia una autentica operazione eversivo-rivoluzionaria: Tangentopoli era un sistema che coinvolgeva sia tutti i grandi gruppi industriali e finanziari (Cir e Fiat inclusi) sia tutti i partiti, Pci compreso: ebbene, unico paese in Europa, in Italia furono eliminati attraverso il circo mediatico-giudiziario (fondato sul coordinamento fra i due pool, quello dei Pm di Milano e quello fra i cronisti giudiziari dei principali giornali) ben cinque partiti attraverso il meccanismo delle "sentenze anticipate" (se migliaia di dirigenti politici vengono demonizzati attraverso il "combinato disposto" fra gli avvisi di garanzia e i titoli sparati in giornali e televisioni, non solo quei dirigenti politici vengono personalmente distrutti ma con loro anche i rispettivi partiti: se poi, sette anni dopo, una parte di quei politici verranno assolti, ciò non conterà affatto al fine del recupero del consenso). Quando l'operazione fu completata e fu chiaro che si era alla vigilia della totale conquista del potere ad opera della "gioiosa macchina da guerra" costituita dal Pds di Occhetto e dei "ragazzi di Berlinguer" e della "invincibile armata" costituita dalla Cgil, dalle regioni e dai comuni rossi, dall'Unipol e dalle cooperative, a quel punto Silvio Berlusconi decise di scendere in campo, fondando quella "Forza Italia" che al suo decollo fu del tutto "nuovista" per modo di far politica e per gruppi dirigenti, e che successivamente recuperò parte dei quadri politici ex democristiani ed ex socialisti perché ebbe bisogno di una classe dirigente in grado di scontrarsi con quella della sinistra.Fu detto, anche giustamente, che Berlusconi metteva in campo un colossale conflitto d'interessi costituito dall'impresa televisiva e da mezzi finanziari. Ciò era vero, ma solo attraverso il "combinato disposto" fra il carisma di Berlusconi, la aggregazione di forze sociali e culturali, l'evocazione dei valori liberali, e il conflitto d'interesse fu possibile giocare alla pari, appunto fra centro-destra e centro-sinistra, altrimenti non ci sarebbe mai stata partita. Senza Berlusconi, il suo carisma e il suo macro-conflitto d'interessi, la "invincibile armata" post-comunista e ultra-giustizialista avrebbe dominato il paese. Non solo Berlusconi scese in campo ma, d'intesa con un autentico genio della tattica politica ed elettorale, cioè Peppino Tatarella, diede vita ad un'alleanza politica a geometria variabile, cioè quella tra Forza Italia e la Lega al Nord e fra Forza Italia e AN al Sud.Come avevano previsto Gianni Letta e Fedele Confalonieri, dal 1994 al 2013 si è scatenato contro Berlusconi un attacco giudiziario il cui segno politico fu dimostrato, oltre a tutto, dal fatto che esso non era avvenuto prima. Fino a quando non scese in politica, Berlusconi non ebbe guai giudiziari, non li ebbe neanche negli anni 92-93 quando gli imprenditori amici di Craxi (vedi Cagliari e Ligresti) furono massacrati (e non li ebbe anche perché le sue televisioni furono a favore del pool, e ciò però è la controprova di quanto il pool si muovesse seguendo una logica politica). Comunque da tutto ciò, nel bene e nel male, derivò il bipolarismo all'italiana: "all'italiana" perché esso fu nettamente distinto da quello europeo.In Europa si sono sempre confrontati due grandi partiti, uno conservatore-moderato, l'altro socialdemocratico-riformista che si legittimavano reciprocamente: in Italia lo scontro è stato fra una coalizione berlusconiana e la coalizione degli anti-berlusconiani che non si "riconoscevano" reciprocamente, e anzi che conducevano l'una contro l'altra una lotta senza quartiere e che mettevano insieme le forze politiche più eterogenee pur di ottenere la maggioranza.Queste coalizioni, però, erano così eterogenee che nessuna di esse ha mai avuto l'omogeneità politica per governare con efficacia: non a caso non c'è mai stata dal 1994 al 2011 una coalizione vincente che ha rinnovato il suo successo poiché una parte dei suoi sostenitori alle elezioni successive non passava di campo, ma, delusa, si asteneva. Berlusconi ha sempre attribuito la responsabilità fondamentale di ciò al fatto di non aver raggiunto da solo il 51%. Allora, cogliendo anche la sfida che proveniva da Veltroni, nel 2007 ha lanciato prima dal "predellino", poi attraverso l'intesa con Fini e con i gruppi dirigenti di Forza Italia e di An, il partito unico del centro-destra, il Pdl. Avendolo detto in anticipo e a suo tempo (con Renato Schifani) lo ripeto ex post: a mio avviso il Pdl è stato uno dei più gravi errori politici di Silvio Berlusconi.Infatti i due partiti erano "antropologicamente" troppo diversi e inoltre Berlusconi e Fini erano agli antipodi su quasi tutto, specie sul terreno della leadership.Rimango convinto che se Berlusconi avesse fatto due patti federativi, uno con An e l'altro con l'Udc, il suo governo sarebbe arrivato fino alla scadenza naturale e il centro-destra non sarebbe andato incontro alla successiva disintegrazione. La bocciatura della mozione di sfiducia di Fini per pochi voti il 14 dicembre 2010 fu una autentica vittoria di Pirro. Il 2011 fu un autentico calvario.Fra il 2008 e il 2010 avvennero due sconvolgenti crisi economico-finanziarie e Berlusconi le affrontò con il massimo di debolezza politica perché a quel punto si sommarono tutti gli elementi negativi possibili: la rottura del Pdl (con Fini), la rottura dentro Forza Italia sulla politica economica fra Berlusconi-Tremonti-Brunetta, le conseguenze dirompenti di alcuni aspetti della vita personale di Berlusconi che non avevano rilievo penale, ma che erano dei tragici errori politici.Così Berlusconi arrivò debolissimo allo scontro con la Merkel e con Sarkozy che indubbiamente ci fu, e fu senza esclusione di colpi, ma solo chi non ha letto Machiavelli può sorprendersi.Probabilmente alla fine del 2010, dopo aver respinto la mozione di sfiducia di Fini, si sarebbe dovuti andare alle elezioni. Per onestà, va detto che ciò fu proposto da Tremonti e da Bossi ma respinto dal Pdl. Dopodiché non si può riscrivere la storia ad usum delphini: nel 2011 se Berlusconi riteneva che era in atto un golpe non solo da parte della Merkel e di Sarkozy ma anche di Napolitano, allora doveva richiedere le elezioni anticipate: non lo fece, anche su consiglio di tutta la finanza a lui vicina, e fu dato via libera al governo Monti, che fu concordato dovesse avere due vicepresidenti del Consiglio di grande prestigio quali Giuliano Amato e Gianni Letta: se ciò non avvenne fu perché il Pd di Bersani non si considerò rappresentato dall'ex socialista Amato.Allora, sotto l'incubo degli spread fu affidato a Monti non il lavoro "sporco" ma addirittura autentiche operazioni chirurgiche che ebbero un taglio di stampo interclassista, perché ci fu una sostanziale e dura "patrimoniale" (immobili e operazioni finanziarie) e una durissima legge sulle pensioni, oltre all'approvazione del fiscal compact: tutte cose, però, approvate con il consenso sia del Pdl che del Pd, Fassina e Brunetta compresi. La somma costituita dalle crisi del Pdl (la scissione con Fini, i continui scontri con Tremonti, le vicende personali e giudiziarie di Berlusconi), dall'evanescenza del Pd, dal governo lacrime e sangue di Monti, portò al risultato del 2013, che fu l'esatto opposto di quella elezione avvenuta nella Prima Repubblica nella quale Moro, a proposito della Dc e del Pci, parlò dei "due vincitori": nel 2013 il Pdl (che perde 6 milioni di voti) e il Pd (che perde quasi 4 milioni) furono i due "perdenti", il bipolarismo saltò e si affermò un terzo soggetto del tutto protestatario-populista-antipolitico quale il Movimento 5 Stelle.Berlusconi capì subito le implicazioni di quel voto e che l'unica via d'uscita era un governo delle larghe intese che rompesse tutti gli schemi. Bersani ci mise ben 60 giorni per capire quello che era successo, e impiegò quel tempo a inseguire i grillini, che lo sbeffeggiarono in tutti i modi, per fare il suo impossibile "governo del cambiamento".Di conseguenza il governo Letta segnò un successo politico di Berlusconi e poi lo stesso Berlusconi, insieme a Bersani, rielesse Napolitano spendendo parole di grande elogio. Comunque Berlusconi fu assai netto nel sottolineare l'entità del risultato politico raggiunto con il governo delle larghe intese: «Abbiamo fatto tanto per dare all'Italia un governo e avviare le riforme per la ripresa e questo non può essere messo in discussione, in pericolo per una sentenza infondata e iniqua, dobbiamo sforzarci per tenere distinte le mie vicende personali dal governo e dalle riforme. Mi rendo conto che lo sforzo non è facile soprattutto per me» (Ansa 9 maggio 2013, lo afferma Silvio Berlusconi in un'intervista al TG5).Si trattava di una posizione da statista, politicamente fortissima. Francamente ancora devo capire perché solo poco tempo dopo Berlusconi rovesciò questa posizione, facendo sua una deriva estremista certamente esistente in Forza Italia ma che però era sempre stata bloccata in primo luogo proprio da lui.Di conseguenza quello di Alfano e del gruppo di parlamentari che poi hanno dato vita al Ncd tutto fu tranne che un "tradimento" (parola tratta da un lessico che non appartiene alla cultura politica di Forza Italia ma a quella stalinista), ma anche qualcosa di più che l'esplicitazione di un legittimo dissenso politico: fu salvata la legislatura, fu evitato un inevitabile trionfo dei grillini, fu avviato un processo di riforme. Quella posizione era così forte che successivamente Berlusconi, tramite Verdini, realizzò con Renzi quel patto del Nazareno che gli consentì di uscire dall'emarginazione nella quale lo aveva cacciato una indegna interpretazione retroattiva della legge Severino e anche di svolgere un ruolo assai importante nella elaborazione della riforma costituzionale che fu votata ripetutamente da Forza Italia. Non vogliamo fare citazioni in materia dello stesso Berlusconi e del senatore Paolo Romani.Parlando di Berlusconi, ci riferiamo dunque a un percorso personale e politico insieme molto rilevante e assai tormentato, anche perché l'Italia anche dopo il crollo del comunismo è stata segnata da una nuova versione della guerra civile fredda. In questo quadro non posso fare a meno di rilevare nel contempo la grandezza della figura di Berlusconi e anche la estrema e drammatica contraddittorietà della sua posizione attuale sul referendum costituzionale, passata da un entusiastico Sì ad un No.Su questo terreno non possiamo non sottoscrivere parola per parola tutto quello che ha detto Marcello Pera ieri a Merlo sul Foglio. Berlusconi ha legato il suo nome proprio all'esigenza della riforma costituzionale e casomai questa riforma, che comunque innova rispetto al bicameralismo in termini assai vicini rispetto a quello sostenuto nel passato da Forza Italia, può essere definita timida sui poteri del presidente del Consiglio mentre invece alcuni esponenti di Forza Italia cavalcano anch'essi la tigre del rischio autoritario.Ma Berlusconi si è accorto della compagnia con la quale si è messo, da Zagrebelsky a Travaglio, ai veterocomunisti? Ciò gli dovrebbe far tremare le vene dei polsi. E poi quale vantaggio politico pensa di trarre da tutto ciò? Se passa il Sì, Berlusconi, sostenendo il No, viene totalmente sconfitto, essendo venuto meno alle sue posizioni originarie. Se passa il No, tempo qualche mese si andrà ad elezioni anticipate e lo scontro finale sarà tra il Pd e il M5S. Nell'immediato, comunque, a trionfare saranno tutte le posizioni estreme, dal M5S alla Lega Nord. Per di più la destabilizzazione del paese sarà tale che la speculazione si scatenerà: gli spread torneranno a ballare. Allora nel fare a Silvio Berlusconi gli auguri per un compleanno assai significativo da tanti punti di vista, sottoponiamo alla sua attenzione queste riflessioni da parte di chi sempre gli ha espresso lealmente in faccia il suo consenso (che è stato pieno per molto anni) e il suo dissenso: come diceva il poeta "vergin di servo encomio e di codardo oltraggio".